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La gestione delle crisi delle banche di medie dimensioni: la necessità di un approccio europeo

Intervento di apertura di Andrea Enria, Presidente del Consiglio di vigilanza della BCE, al workshop della Banca d’Italia sul quadro di gestione delle crisi bancarie nell’UE

Francoforte sul Meno, 15 gennaio 2021

Introduzione

Il quadro di gestione delle crisi bancarie è progredito in maniera significativa nei dieci anni dopo la grande crisi finanziaria. A livello globale il Financial Stability Board ha individuato le migliori prassi di gestione delle crisi di enti grandi e complessi, note come “principi fondamentali dei regimi efficaci di risoluzione di istituzioni finanziarie”. Nell’UE l’attuazione di tali principi è stata accompagnata dall’istituzione della vigilanza bancaria europea e del Meccanismo di risoluzione unico, incaricato di migliorare i criteri di vigilanza e le possibilità di risoluzione delle banche significative, assicurando un approccio coerente alla prevenzione e alla gestione delle crisi dei maggiori enti creditizi nell’unione bancaria. Tuttavia, nel ricercare una soluzione alle problematiche degli enti “troppo grandi per fallire” messe in luce dalla grande crisi finanziaria, si è dedicata meno attenzione alla gestione delle crisi delle banche di piccole e medie dimensioni. Si partiva dall’ipotesi che, nella maggior parte dei casi, non avrebbero sollevato timori per la stabilità finanziaria e che potevano essere affrontate ricorrendo alle procedure di liquidazione ordinarie nazionali.

Nondimeno, l’esperienza maturata in questi primi anni dell’unione bancaria ha dimostrato l’erroneità di questa ipotesi. Le significative differenze fra le normative nazionali in materia di liquidazione delle banche implicano scostamenti dal quadro di vigilanza europeo; esse generano timori per la parità di condizioni suscettibili di pregiudicare l’integrazione del mercato bancario e possono ostacolare un’uscita ordinata dal mercato degli intermediari più deboli.

In alcuni casi la dichiarazione di “dissesto o rischio di dissesto” (failing or likely to fail, FOLTF) di una banca significativa non è sfociata in una procedura di insolvenza ordinaria nazionale, collocandola nel limbo tra stato di dissesto e impossibilità di uscire dal mercato. Questa situazione si è verificata per ABLV: alla decisione di FOLTF della BCE per la capogruppo lettone e la controllata lussemburghese ha fatto seguito la valutazione del Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board, SRB) in base alla quale la procedura di risoluzione non era nell’interesse pubblico. Alla fine, gli azionisti della capogruppo lettone hanno deciso volontariamente di liquidare la banca. La controllata lussemburghese è stata sottoposta a un regime di sospensione dei pagamenti fino all’inizio del procedimento di liquidazione giudiziale almeno due anni dopo.

Nell’unione bancaria alcuni Stati membri ricorrono a regimi di liquidazione amministrativa delle banche con strumenti simili a quelli delle procedure di risoluzione, mentre altri applicano gli stessi procedimenti di liquidazione previsti per le società. Ciò solleva questioni persino più complesse, poiché casi analoghi possono essere gestiti in modi molto diversi. Ad esempio, per i due grandi istituti Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca – che a giudizio dell’SRB non destavano timori di interesse pubblico a livello europeo, malgrado l’elevato livello di attivi cumulati nella stessa regione – le autorità italiane hanno potuto dispiegare tutta una gamma di strumenti amministrativi per trasferire l’attività degli enti in dissesto a un’altra banca, con il sostegno statale. Questi strumenti, che non sarebbero disponibili in molti altri Stati membri, hanno consentito un trattamento dei creditori più favorevole rispetto al regime di risoluzione europeo.

Oltre alle ovvie problematiche relative alla parità di condizioni, queste differenze ostacolano un mercato pienamente integrato e contrastano con gli obiettivi dell’unione bancaria. Inoltre, il livello di protezione di cui godono le varie categorie di investitori e depositanti potrebbe differire da uno Stato membro all’altro. Pertanto, il valore intrinseco di un deposito in uno Stato membro potrebbe cambiare da quello in un altro Stato membro nella stessa unione bancaria. Ma come dovremmo configurare un quadro di gestione delle crisi coerente, propizio a un mercato bancario integrato?

Verso un quadro di riferimento più europeo

L’esempio più eminente di un tale quadro di riferimento è quello statunitense, incentrato sulla Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC). La maggior parte dei dissesti bancari, specie se riguardano enti di piccole e medie dimensioni, è trattata dall’FDIC attraverso la cosiddetta “purchase and assumption” e la successiva vendita dei depositi e delle attività in bonis ad altre banche, che possono pure avere sede legale in altri Stati federati. I clienti della banca in dissesto vengono informati che i loro depositi o contratti di prestito sono passati a un altro istituto e notano appena gli effetti del default della loro banca. Questo approccio alla gestione delle crisi, in cui le attività economicamente sostenibili di una banca insolvente sono trasferite a un acquirente prospero, consente anche agli enti di piccole e medie dimensioni di beneficiare delle opportunità offerte da un grande mercato bancario integrato. Il modello statunitense ha aspetti interessanti, fra cui l’uscita ordinata dal mercato, l’impatto minimo sulla clientela, soprattutto sui depositanti al dettaglio e sui piccoli debitori, il potenziale di mitigare gli shock asimmetrici in una determinata regione attraverso soluzioni di tipo federale alle crisi bancarie e la possibile minore incidenza sulle finanze pubbliche. A mio parere questo è il modello da considerare.

Nel vagliare una soluzione di tipo FDIC nell’unione bancaria credo che gli aspetti più rilevanti siano: (1) il ruolo di un sistema di garanzia dei depositi (deposit guarantee scheme, DGS) per tutta l’area, (2) la piena armonizzazione normativa, preferibilmente tramite regolamenti dell’UE, e (3) l’importanza degli strumenti amministrativi per la liquidazione delle banche di ogni dimensione.

In primo luogo, il riferimento al ruolo positivo svolto da un ente federale negli Stati Uniti, che coniuga la funzione di garanzia dei depositi a quella di autorità di risoluzione, indica evidentemente l’urgenza di mettere a punto un sistema europeo di assicurazione dei depositi (European deposit insurance scheme, EDIS) quale naturale componente fondamentale di un approccio comparabile nell’unione bancaria. L’introduzione dell’EDIS sarà una tappa cruciale per l’integrazione dei mercati finanziari europei. Soltanto grazie all’EDIS sarà possibile gestire una crisi bancaria con l’efficienza che offrono mercati finanziari integrati. In assenza di una dimensione europea, i sistemi nazionali di garanzia dei depositi si incentrano tendenzialmente solo su soluzioni nazionali, rinunciando ai vantaggi di un grande mercato europeo. L’unione bancaria dovrebbe apportare un cambiamento positivo in questo senso. Se vogliamo realizzare un mercato bancario pienamente integrato nell’UE, dobbiamo tenere presente che il successo dell’FDIC si basa sulla combinazione delle funzioni di risoluzione e di garanzia dei depositi per quasi tutte le banche statunitensi. La flessibilità offerta coniugando gestione delle crisi e gestione del sistema di garanzia dei depositi, in nessun caso più onerosa del semplice rimborso dei depositanti assicurati, potrebbe contribuire a individuare soluzioni al minor costo, a beneficio di tutti i soggetti interessati. L’EDIS è l’unico modo per garantire che ogni euro depositato abbia lo stesso valore, indipendentemente dall’ubicazione della banca e del cliente all’interno dell’unione bancaria.

In secondo luogo, per una gestione delle crisi più coerente c’è bisogno di maggiore armonizzazione delle procedure e degli strumenti per il trattamento delle banche in dissesto che, in base alla valutazione dell’SRB, non giustificano una risoluzione nell’interesse pubblico. Allo stato attuale le normative fallimentari nazionali non sono armonizzate e non sempre sono adatte alle specificità delle banche. Come ho già menzionato, l’esperienza dimostra che, a causa di queste differenze, nell’unione bancaria gli enti in dissesto sono soggetti a esiti diversi e alquanto incerti a seconda delle caratteristiche del regime giuridico nazionale. Molte evidenze e ricerche dimostrano che la mancanza di armonizzazione e, in alcuni casi, di prevedibilità in questo ambito agisce da ulteriore deterrente per gli operatori di mercato, li scoraggia dall’intraprendere attività bancarie e aggregazioni a livello transfrontaliero, ostacolando così una maggiore integrazione finanziaria nell’UE. Non sto invocando un’armonizzazione delle normative fallimentari in tutta l’UE: sarebbe auspicabile, ma molto difficile da conseguire. L’obiettivo dovrebbe essere quello di introdurre un regime amministrativo speciale per la liquidazione delle banche con il massimo livello di armonizzazione, fornendo strumenti aggiuntivi oltre a quelli disponibili per gran parte delle altre società.

Infine, la combinazione di strumenti e mezzi finanziari utilizzabili dalle autorità competenti deve essere ottimizzata allo scopo di gestire in maniera adeguata il dissesto degli enti creditizi di medie dimensioni. La risoluzione può non essere confacente per queste banche, e allo stesso tempo la loro liquidazione, nell’ipotesi che avvenga con rimborso frammentario dei depositanti, potrebbe pure avere un impatto avverso in termini di distruzione di valore economico e stabilità finanziaria, quanto meno a livello regionale. Dobbiamo introdurre strumenti amministrativi adeguati per assicurare che il dissesto di queste banche possa essere trattato in maniera ordinata ed efficace, assicurando un’uscita tempestiva e regolare dal mercato. Questo punto è molto importante: se le banche non possono uscire dal mercato in modo ordinato, le autorità pubbliche potrebbero essere incentivate a estendere alcune forme di sostegno anche agli istituti non dotati di un modello di business sostenibile. A seguito della grande crisi finanziaria questo comportamento ha contribuito a generare una pesante eredità, ossia una capacità in eccesso nel sistema, che ha influito notevolmente sull’efficienza e sulle valutazioni di mercato, un problema con cui ci stiamo tuttora misurando.

Individuare le opzioni principali per colmare le lacune

Un quadro di gestione delle crisi più armonizzato e funzionale per le banche di medie dimensioni nell’area dell’euro è quindi di rilevanza fondamentale. Cosa si può fare nel concreto per realizzarlo?

Da una prospettiva di vigilanza dovremmo, come primo passo, continuare a focalizzarci sulle azioni in grado di prevenire un dissesto bancario. Gli enti creditizi potrebbero disporre di un ventaglio più ampio di opzioni credibili per superare gravi situazioni di stress. I piani di risanamento bancari svolgono un ruolo importante in questo senso; è essenziale che gli enti non solo individuino i possibili ostacoli alla rapida attuazione delle opzioni di risanamento, ma che assumano le misure idonee a eliminarli tempestivamente. Nell’unione bancaria, la vigilanza bancaria europea continuerà a promuovere e monitorare il miglioramento dei piani di risanamento, anche per le banche le cui crisi possono pure essere affrontate con procedure di liquidazione, anziché tramite risoluzione.

Dobbiamo inoltre assicurare che le banche in dissesto non soggette a risoluzione escano dal mercato in tempi ragionevoli. L’attuale direttiva sul risanamento e sulla risoluzione delle banche (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD), modificata di recente, fornisce una chiara indicazione al riguardo: le banche dichiarate “in stato di dissesto o a rischio di dissesto” devono essere liquidate in modo ordinato. È fondamentale che questa disposizione sia attuata in modo da evitare ogni rischio residuo di lasciare le banche in un limbo, altrimenti sarebbero necessari ulteriori chiarimenti legislativi.

Riguardo all’uscita ordinata dal mercato degli istituti di medie dimensioni, una delle opzioni al vaglio sarebbe l’ampliamento del perimetro delle banche soggette a risoluzione. Questa misura assicurerebbe parità di condizioni per gli enti creditizi in dissesto nell’unione bancaria. La questione è se le banche di medie dimensioni possano accedere a un adeguato finanziamento per appoggiare la strategia di risoluzione prescelta nell’ambito dell’attuale quadro di risoluzione. Vi sono ad esempio banche non quotate, finanziate soprattutto tramite depositi, che non emettono periodicamente strumenti di debito sui mercati regolamentati. Per questi istituti potrebbe rivelarsi costoso attingere ai mercati del debito senior non privilegiato per emettere l’importo richiesto di passività idonee in base al requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (minimum requirement for own funds and eligible liabilities, MREL); gli investitori istituzionali potrebbero infatti non essere interessati ai loro strumenti di debito. Queste banche invece potrebbero rivolgersi agli investitori al dettaglio. La BRRD è stata modificata per migliorare i presidi di salvaguardia volti a evitare che gli strumenti di debito junior siano collocati nei portafogli della clientela al dettaglio “captive” a condizioni preoccupanti per la tutela degli investitori, e sono in corso discussioni su come la protezione degli investitori al dettaglio possa essere rafforzata ulteriormente. Un ricorso eccessivo agli strumenti non privilegiati e subordinati collocati nei portafogli della clientela al dettaglio “captive” potrebbe inoltre minare la possibilità di risoluzione di una banca, poiché la capacità di ripartire le perdite fra questi investitori al dettaglio in caso di crisi si rivelerebbe molto discutibile.

È comunque improbabile che ampliare il perimetro della risoluzione risolva del tutto il problema: vi saranno sempre banche per le quali, non essendo riconosciuto l’interesse pubblico, non si applicherebbe il quadro di risoluzione europeo. Andrebbero quindi esplorate opzioni alternative.

Un’opzione proposta nel dibattito attuale consiste nell’assicurare, tramite armonizzazione a livello europeo, che tutte le autorità nazionali di risoluzione abbiano i poteri amministrativi di trasferire attività e passività in liquidazione, con il sostegno dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi. In base a questa opzione, le autorità nazionali di risoluzione verrebbero dotate di poteri di liquidazione amministrativa speciale che consentono di trasferire alcune attività e passività quale misura alternativa o complementare al rimborso dei depositanti assicurati.

Ai sensi del quadro attuale, le risorse del DGS possono già essere utilizzate per misure alternative a discrezione degli Stati membri; tuttavia si dovrebbero considerare modifiche alla priorità massima del DGS e alla valutazione del criterio del minor costo, al fine di consentire un uso più ampio del DGS per sostenere un’efficace gestione delle crisi.

Trasformare questa opzione in uno strumento comune disponibile per tutte le autorità nazionali di risoluzione in un quadro regolamentare con massima armonizzazione assicurerebbe un trattamento più efficace degli enti creditizi in dissesto nell’unione bancaria rispetto allo status quo. Tuttavia, dato che vi potrebbero essere discrepanze di attuazione e prassi nazionali, sarebbe necessaria una qualche forma di coordinamento a livello europeo. Inoltre, la capacità finanziaria dei DGS nazionali e il loro utilizzo pratico potrebbero differire notevolmente da uno Stato membro all’altro, lasciando questa soluzione esposta al rischio di essere subottimale a livello europeo, poiché manterrebbe una stretta connessione con gli Stati.

Dovremmo pertanto esplorare soluzioni di respiro maggiormente europeo. I poteri di liquidazione amministrativa, compreso quello di trasferire attività e passività con il sostegno dei DGS nazionali, e in futuro dall’EDIS, possono essere attribuiti a livello europeo. La gamma degli strumenti a disposizione dell’SRB sarebbe ampliata e integrata con il potere di liquidare una banca quando non è riconosciuto l’interesse pubblico, anche mediante il trasferimento di alcune attività e passività a un altro istituto nell’unione bancaria. Riguardo al finanziamento, un’opzione a breve termine potrebbe consistere nel concedere all’SRB i poteri di estendere il suo ricorso ai fondi del DGS, insieme all’istituzione di un sistema comune ibrido di assicurazione dei depositi.

Questa sarebbe una tappa intermedia verso la realizzazione dell’EDIS, che resta l’obiettivo ultimo. Attribuire a un’autorità dell’UE un ruolo più rilevante promuoverebbe un trattamento più coerente delle banche e accrescerebbe l’efficacia sistemica della gestione delle crisi nell’unione bancaria, consentendo l’ulteriore integrazione del settore bancario, avvalendosi al tempo stesso della collaborazione con e tra le autorità nazionali, come pure i DGS nazionali finché non sia attuato un EDIS a tutti gli effetti.

Questo approccio europeo sarebbe la via migliore per assicurare un modello di liquidazione ordinata in tutta l’unione bancaria. Ma sono consapevole che in assenza dell’EDIS l’incongruenza degli incentivi fra poteri decisionali a livello europeo e strumenti di finanziamento a livello nazionale potrebbe destare grave apprensione. Pertanto, in uno scenario pre-EDIS, si dovrebbero elaborare specifici meccanismi di governance per assicurare l’adeguato coinvolgimento dell’autorità nazionale di risoluzione e del DGS nazionale nelle decisioni dell’SRB. Un’idea è quella di introdurre un processo “a due chiavi”: l’SRB manterrebbe un ruolo determinante nell’attivare la liquidazione e nel proporre il trasferimento delle attività e passività della banca, mentre l’autorità nazionale di risoluzione conserverebbe il diritto di bloccare l’operazione, se ritenuta eccessivamente onerosa per il DGS nazionale.

Conclusioni

L’impatto della pandemia di COVID-19 sui bilanci bancari è stato finora limitato. Le banche sono entrate in questo difficile periodo con una posizione patrimoniale e di liquidità molto più solida e procedure di gestione del rischio più robuste, grazie alle riforme adottate dopo la grande crisi finanziaria. Ciò si è dimostrato un punto di forza fondamentale che ha consentito al settore bancario di continuare a erogare credito a famiglie e imprese, grandi e piccole, nonché di sostenere la ripresa della nostra economia.

Ma non dobbiamo abbassare la guardia. Non possiamo escludere che, una volta revocate le misure di sostegno pubblico, alcune banche possano risentire di un deterioramento significativo della qualità degli attivi. Un quadro efficace e integrato per la gestione delle crisi, anche delle banche di piccole e medie dimensioni, è essenziale per preservare la fiducia dei depositanti e di tutti i cittadini, scongiurare la frammentazione finanziaria e salvaguardare la stabilità finanziaria.

Possiamo procedere con gradualità per rafforzare il nostro quadro di gestione delle crisi, anche per le banche piccole e medie. Le proposte che ho esaminato oggi potrebbero rappresentare un passo importante verso il completamento dell’unione bancaria, che sarà realizzata solo dopo avere attuato un EDIS a pieno titolo.

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