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Il Meccanismo di vigilanza unico a un anno dall’avvio: lo stato attuale e le sfide per il futuro

Intervento di Danièle Nouy, Presidente del Consiglio di vigilanza del Meccanismo di vigilanza unico,
Conferenza della Banca d’Italia “Micro and Macroprudential Banking Supervision in the Euro Area”, Università Cattolica,
Milano, 24 novembre 2015

Signore, Signori,

Vi ringrazio per avermi invitato qui, in questa prestigiosa università, a parlarvi dell’esperienza maturata durante il primo anno di attività del Meccanismo di vigilanza unico (MVU) e delle sfide che si prospettano. Vorrei subito fornirvi alcuni numeri che possano darvi un’idea dell’ampiezza del nostro lavoro. Attualmente siamo responsabili della vigilanza diretta su 122 gruppi bancari, che forse diventeranno 130 il prossimo anno. Il valore degli attivi di bilancio di queste banche ammonta complessivamente a 25.000 miliardi di euro. Nei confronti di tali enti creditizi lo scorso anno abbiamo adottato oltre 1.200 decisioni di vigilanza. Gli obiettivi che sono stati finora raggiunti e le principali sfide che ci attendono sono i temi che tratterò oggi.

Da quale punto siamo partiti e quali traguardi abbiamo raggiunto in questo primo anno?

Le origini dell’MVU

Considerando che tra noi sono presenti molti studenti, è opportuno accennare alle premesse da cui siamo partiti. È un aspetto importante da tenere presente, soprattutto per una realtà di recente costituzione come è l’MVU. Possiamo scegliere tra due diverse prospettive.

In base alla prima, la crisi finanziaria del 2007 potrebbe essere considerata come la causa principale che ha portato alla nascita dell’unione bancaria europea. La crisi ha mostrato che un’unione monetaria senza unione bancaria è fragile. Lo ha confermato successivamente la crisi del debito sovrano, che ha fatto emergere il nesso banche-soggetti sovrani; tale fenomeno ha amplificato la gravità della crisi nell’area dell’euro, destabilizzando le nostre economie e, in ultima analisi, la moneta unica. In Europa coesistevano molte autorità di vigilanza investite di analoghe competenze, con sfere d’azione circoscritte alle varie giurisdizioni nazionali. Il problema era che le autorità di vigilanza si fermavano ai confini nazionali, mentre l’operatività delle banche andava oltre. In questo sistema imperfetto, i costi di qualsiasi dissesto erano sostenuti in ultima istanza dai contribuenti e si alimentavano circoli viziosi. Da questa prospettiva è corretto affermare che la crisi finanziaria ha agito da catalizzatore nella creazione di un’unione bancaria europea per la salvaguardia della stabilità economica e finanziaria nell’area dell’euro.

Più che una decisione rivoluzionaria, l’istituzione dell’unione bancaria è stata un’evoluzione, anche se compiuta “alla velocità della luce”. Questo è il punto in cui entra in gioco la seconda prospettiva sulla nascita dell’MVU. La necessità di una maggiore convergenza nella vigilanza bancaria era nota anche prima della crisi. La riforma Lamfalussy avviata nei primi anni 2000 ha consentito lo sviluppo di un corpus unico di norme. Il Comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (Committee of European Banking Supervisors, CEBS) è stato costituito nel 2004 con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione nel settore della vigilanza, anche attraverso lo scambio di informazioni tra le autorità di vigilanza nazionali. Ben prima della crisi, la vigilanza prudenziale europea aveva già intrapreso un percorso orientato verso una maggiore convergenza.

Date queste premesse, l’armonizzazione della vigilanza in Europa non è emersa dal nulla. La crisi finanziaria è stata un elemento catalizzatore e di per sé la prova schiacciante dell’esigenza di un’ulteriore convergenza in Europa. Nel 2011 al CEBS è subentrata l’Autorità bancaria europea (ABE), investita di maggiori poteri regolamentari nonché della facoltà di elaborare norme tecniche vincolanti ed emanare orientamenti. E dal 2012 ha acquisito sempre più rilevanza l’idea di realizzare un’unione bancaria europea all’interno dell’area dell’euro, fino a giungere alla decisione di costituire l’MVU. L’unione bancaria si basa su un meccanismo di vigilanza unico, un meccanismo di risoluzione unico e un sistema unico di garanzia di depositi, che sono complemento dell’autorità monetaria unica. I lavori per l’unione bancaria sono tuttora in corso: il Comitato di risoluzione unico sarà operativo dal 1° gennaio 2016 e il meccanismo di garanzia dei depositi è ancora in fase di realizzazione. Tuttavia, sono lieta di affermare che il Meccanismo di vigilanza unico è pienamente funzionante. Ciò è stato possibile anche perché abbiamo potuto lavorare su fondamenta che erano state già gettate prima della crisi.

Il primo anno di attività

Tre settimane fa abbiamo celebrato il primo anniversario dell’MVU. Il nostro lavoro, tuttavia, era iniziato ben prima del 4 novembre 2014 poiché occorreva impiantare un meccanismo efficiente ai fini della vigilanza e basato sulla collaborazione tra la banca centrale europea (BCE) e le 19 autorità di vigilanza nazionali. Quella delle risorse umane è stata la prima sfida. Abbiamo assunto individui altamente qualificati provenienti da diverse realtà; alcuni avevano lavorato a lungo presso una delle autorità di vigilanza nazionali e hanno quindi arricchito l’MVU con la propria esperienza nelle prassi nazionali. Abbiamo inoltre reclutato personale dall’interno della BCE e anche dal settore privato. Abbiamo costituito i gruppi di vigilanza congiunti (GVC), che sono il fulcro dell’attività di vigilanza bancaria. Ciascun GVC è responsabile della vigilanza su una delle banche significative ed è guidato da un coordinatore della BCE. Due terzi dei membri di ciascun GVC provengono dalle pertinenti autorità nazionali competenti (ANC), mentre un terzo è costituito da personale della BCE. Ne deriva che i GVC sono presenti sia nel paese di insediamento della banca vigilata sia a Francoforte. Oltre ai GVC abbiamo istituito le cosiddette funzioni trasversali. Il lavoro di queste divisioni non si focalizza su una banca, ma su un aspetto, quale può essere l’analisi dei rischi, l’autorizzazione all’attività bancaria o le sanzioni. Le divisioni trasversali sono essenziali per lo sviluppo di metodologie comuni e per l’assicurazione della qualità. Abbiamo infine esperti che si occupano della vigilanza indiretta sugli enti creditizi meno significativi. La competenza per tali banche spetta alle autorità di vigilanza nazionali.

Mentre i contorni dell’organizzazione si stavano delineando e il processo di selezione del personale era in pieno svolgimento, abbiamo condotto una valutazione approfondita degli enti creditizi significativi nell’area dell’euro. I risultati di questa verifica dello stato di salute delle banche hanno fornito un solido punto di partenza per l’MVU.

Insieme alle ANC e all’ABE abbiamo condotto sia una prova di stress sia un esame della qualità degli attivi. Completando con successo questi processi abbiamo confermato gli elevati standard che ci eravamo prefissati. Altrettanto importante è che la valutazione approfondita ha reso disponibile una serie di dati aggiuntivi di grande utilità sullo stato delle banche che siamo stati incaricati di vigilare. Sulla base di tali informazioni siamo stati in grado di delineare una strategia per il primo anno di vigilanza e di decidere quali iniziative intraprendere per fronteggiare gli elementi di debolezza individuati nei bilanci di questi enti creditizi.

Naturalmente all’inizio ci siamo concentrati sull’adeguata capitalizzazione di tutte le banche. Ciò costituisce un presupposto fondamentale per la stabilità finanziaria nell’area dell’euro, nonché il nostro contributo ad essa. Un altro punto su cui ci siamo concentrati è stato assicurare che la dirigenza esercitasse un controllo appropriato sulle banche, in modo che la gestione del rischio risultasse efficace e le banche fossero in grado di fornire servizi finanziari all’intera economia. Lavorando su questi aspetti abbiamo tenuto conto di quattro delle cinque priorità che erano state individuate per il primo anno: i modelli aziendali e la redditività, la governance e la propensione al rischio, l’adeguatezza patrimoniale e il rischio di credito. La quinta priorità era rappresentata dal rischio informatico e dall’integrità dei dati, su cui mi soffermerò più avanti.

Un’altra parte importante del lavoro di questo primo anno ha riguardato lo sviluppo di metodologie comuni. Questo compito non ci ha colti di sorpresa. Quasi tutte le attività che abbiamo svolto in questo primo anno hanno rappresentato per noi una novità. Sin dall’inizio abbiamo voluto assicurare coerenza; quindi abbiamo riconosciuto la necessità di definire metodologie che potessero essere utilizzate anche in futuro. Si è trattato di una sfida, in quanto ci siamo trovati a dover armonizzare 19 diverse prassi nazionali a cui non solo le autorità di vigilanza nazionali, ma anche i soggetti vigilati, si erano ormai adattati. Ad esempio, alcune banche non erano abituate all’ampiezza delle nostre richieste di dati. Pur comprendendo che occorre tempo per assuefarsi a tali cambiamenti, abbiamo creduto fermamente che fosse necessario sviluppare metodologie comuni. In questo ambito sono stati compiuti progressi significativi, in piena collaborazione con le autorità di vigilanza nazionali. Abbiamo redatto il manuale di vigilanza, un importante strumento che fornisce a tutto il personale addetto alla vigilanza, sia a Francoforte che in Europa, un insieme di procedure e di prassi comuni da utilizzare nello svolgimento del proprio lavoro. Che si tratti di valutare l’emissione di uno strumento di classe 2 da parte di una banca, le politiche di remunerazione di un ente creditizio, o i requisiti di professionalità e onorabilità, oggi ci avvaliamo tutti delle stesse procedure.

Grazie a questo lavoro sulla metodologia, nel 2015 siamo stati in grado di condurre il primo ciclo del processo di revisione e valutazione prudenziale comune (supervisory review and evaluation process, SREP). Per la prima volta tutti gli enti creditizi significativi nell’area dell’euro sono stati valutati sulla base di un parametro comune. Gli elementi quantitativi e qualitativi sono stati combinati nell’ambito di un approccio a giudizio vincolato da un parere esperto, che assicura coerenza, non consente la pratica di alcuna forma di tolleranza (forbearance) e tiene conto delle specificità degli enti creditizi. Per la prima volta è stato possibile effettuare confronti tra pari e analisi trasversali su larga scala, promuovendo così appieno gli obiettivi dell’unione bancaria.

In particolare, nel predisporre le decisioni sul capitale nell’ambito del secondo pilastro, la vigilanza ha tenuto conto in primo luogo dei rischi vecchi e nuovi fronteggiati dalle banche a causa delle condizioni economiche e di mercato nell’area dell’euro, quali il rischio di credito e il rischio di liquidità. In secondo luogo, ha perseguito l’obiettivo di una graduale transizione delle banche dalle attuali posizioni patrimoniali alla piena attuazione del quadro di Basilea 3. In terzo luogo, tutte le attività sopra descritte sono state svolte assicurando condizioni di parità, sia all’interno dell’MVU sia con le altre principali giurisdizioni.

Nel 2015 abbiamo anche svolto un ruolo fondamentale nella gestione delle turbolenze finanziarie in Grecia, scaturite dallo stallo dei negoziati per il programma greco nel giugno scorso. Immediato è stato l’impatto sulle banche del paese, che hanno subito ancora una volta un episodio di grave stress. Abbiamo seguito la situazione da vicino e siamo sempre stati pronti a intraprendere azioni di vigilanza, ove necessario. Nell’accordo politico finale che è stato raggiunto subito prima dell’estate ci è stato assegnato il ruolo di contribuire alla determinazione delle esigenze di ricapitalizzazione degli enti creditizi significativi greci. A questo fine è stata condotta una valutazione approfondita di tali banche, i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso 31 ottobre.

Vi ho illustrato brevemente i lavori svolti nel nostro primo anno di attività. Abbiamo costituito i GVC, condotto la valutazione approfondita, definito parti importanti della nostra metodologia comune e portato a termine il primo SREP comune. C’è già molto di cui possiamo andare fieri; al contempo, questo non è per noi che l’inizio.

Sfide per il futuro

Maggiore armonizzazione della regolamentazione e delle prassi di vigilanza

Ci attendono ancora molte sfide, soprattutto per il conseguimento dell’obiettivo principale dell’MVU: assicurare un regime di vigilanza bancaria prudenziale pienamente armonizzato nell’area dell’euro. Come ho appena affermato, con la realizzazione del corpus unico abbiamo compiuto un importante passo avanti verso l’armonizzazione del sistema di regolamentazione prudenziale; il traguardo tuttavia è ancora lontano. L’attuazione della quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (Capital Requirements Directive IV, CRD IV) nelle legislazioni nazionali ha dato adito a una varietà di interpretazioni di specifici elementi della direttiva. Ciò pone un problema per l’esercizio della vigilanza da parte dell’MVU in quanto questa si basa sull’attuazione delle direttive nel diritto nazionale. Diverse interpretazioni date a livello nazionale agli articoli della CRD IV, come pure trasposizioni che vanno oltre quanto richiesto della normativa comunitaria, creano condizioni di disparità all’interno dell’MVU e sono pertanto contrarie a uno dei nostri principali obiettivi.

In alcuni casi la CRD IV, il regolamento sui requisiti patrimoniali (Capital Requirements Regulation, CRR) o gli atti delegati conferiscono esplicitamente agli Stati membri partecipanti la libertà di decidere le modalità di applicazione di uno specifico requisito. Mi riferisco alle note opzioni e discrezionalità nazionali (ODN), che sono circa 150. Alcune di queste ODN possono essere esercitate dai legislatori nazionali, mentre in altri casi tale compito è delegato alle autorità di vigilanza. Le ODN coprono un’ampia gamma di aspetti, quali i limiti per le esposizioni infragruppo o i sistemi di tutela istituzionale.

In relazione a queste ODN possiamo ora concordare un approccio comune nell’ambito dell’MVU. A tale scopo abbiamo istituito un gruppo di alto livello che ha individuato circa 120 ODN possibilmente da trattare durante la prima fase del progetto di armonizzazione e ha elaborato proposte sulle modalità con cui affrontarle. Le nostre proposte per il trattamento di queste ODN sono confluite in un progetto di regolamento e un progetto di guida, per i quali è in corso una consultazione pubblica. L’attuazione del regolamento definitivo rappresenterà un miglioramento sostanziale, ma al tempo stesso non è che un primo passo. Sono state infatti individuate altre ODN, per le quali valuteremo l’adozione di un approccio comune nel prossimo futuro.

Come ho affermato, non sono soltanto le ODN a creare condizioni di disparità, ma anche, in alcuni casi, le modalità con le quali la legislazione primaria è interpretata e attuata nel diritto nazionale. A complicare ulteriormente la situazione si aggiunge il fatto che in alcuni paesi le prassi di vigilanza nazionali precedenti all’MVU erano sancite nell’ordinamento nazionale, limitando la gamma delle opzioni esercitabili dalle autorità di vigilanza nello svolgimento delle proprie attività.

Si tratta di sviluppi rischiosi, perché creano quelle stesse distorsioni a livello nazionale, frammentazioni e opportunità di arbitraggio regolamentare nella vigilanza che l’MVU dovrebbe rimuovere. In un regime europeo di vigilanza bancaria prudenziale che sia credibile, unificato e armonizzato non è possibile, ad esempio, che i requisiti di professionalità e onorabilità differiscano ampiamente da uno Stato membro partecipante all’MVU all’altro. Il nostro impegno è conseguire l’obiettivo di una maggiore armonizzazione del regime vigilanza. Tuttavia, spetta sia ai legislatori europei sia a quelli nazionali migliorare il livello di armonizzazione regolamentare.

Maggiore capacità delle banche di fronteggiare sviluppi avversi

Vorrei ora soffermarmi su come la vigilanza è influenzata dal contesto economico in cui le banche operano. Le banche si confrontano tuttora con serie difficoltà, tra cui i bassi livelli di redditività e la permanenza di esposizioni deteriorate in bilancio.

Per quanto riguarda i primi, se si considerano gli andamenti recenti, la redditività delle banche è aumentata lievemente nella prima metà del 2015 e le posizioni patrimoniali si sono ulteriormente rafforzate. Nonostante ciò, il sistema bancario nell’area dell’euro continua a scontrarsi con problemi legati alla bassa redditività e, per molte banche, il rendimento del capitale (return on equity, ROE) risulta inferiore al costo del capitale (cost of equity, COE). Ciò è dovuto a diversi fattori. Uno riguarda i livelli di crescita economica relativamente bassi con cui le banche devono confrontarsi, che si traducono in una contenuta espansione del credito. Nell’area dell’euro i livelli di crescita non sono soltanto bassi, ma disomogenei. Sussistono differenze significative nella situazione economica dei paesi dell’area. I tassi di interesse sono persistentemente bassi. A ciò si aggiunge il fatto che le banche devono far fronte a un elevato livello di accantonamenti. Un numero di banche sarà costretto a una radicale revisione del proprio modello di business alla luce di tali andamenti. L’attuale contesto economico potrebbe incentivare alcune banche a modificare il proprio modello di business, soprattutto per ridurre la propria dipendenza dalle attività tradizionali che generano interessi attivi.

Le esposizioni deteriorate rappresentano ancora una seria sfida sul piano prudenziale in alcuni paesi, inclusa l’Italia. Il problema è determinato da una serie di fattori, tra i quali emergono le condizioni economiche generali, consistenze elevate di oneri pregressi relativi ad attività preesistenti (legacy problem assets), in particolare nei paesi più colpiti dalla crisi finanziaria, e sistemi di recupero crediti talvolta carenti. Come autorità di vigilanza possiamo far fronte ad alcuni di questi fattori, ma altri ricadono al di fuori della nostra competenza. In alcuni paesi sono stati compiuti progressi verso un quadro giuridico che si presta maggiormente all’efficace risoluzione dei prestiti deteriorati. Al riguardo la BCE ha istituito un work stream dedicato e lavora insieme alle banche per sviluppare e attuare piani d’azione individuali e personalizzati.

Le banche si confrontano anche con i nuovi sviluppi sul piano della regolamentazione. Ad esempio, si devono mantenere al passo con le disposizioni transitorie in vista della piena attuazione di Basilea 3 nel 2019. Il prossimo anno dovranno anche applicare i nuovi requisiti normativi relativi alle situazioni di “gone concern”. Il requisito della capacità totale di assorbimento delle perdite (total loss absorbing capacity, TLAC) sviluppato dal Financial Stability Board è un esempio dei nuovi sviluppi sul piano della regolamentazione per le banche più grandi nell’area dell’euro. Nel gennaio del prossimo anno in Europa entrerà in vigore la direttiva sul risanamento e sulla risoluzione delle banche (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD), che introduce un nuovo requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (minimum requirement for own funds and eligible liabilities, MREL).

In tali condizioni economiche è indispensabile assicurare che le banche abbiano sufficiente capitale di buona qualità nei propri bilanci. In seguito alla valutazione approfondita condotta nel 2014 ci siamo assicurati che fossero colmate le carenze patrimoniali rilevate presso alcune banche. Nelle valutazioni condotte nell’ambito dello SREP abbiamo tenuto conto dei rischi vecchi e nuovi fronteggiati dalle banche a causa delle condizioni economiche e di mercato nell’area dell’euro. È stato anche considerato il percorso di transizione verso la piena applicazione dei requisiti di Basilea 3.

Stanno per essere completate le decisioni SREP relative al 2016, ma possiamo già affermare che i requisiti patrimoniali di secondo pilastro previsti nel prossimo anno per gli enti significativi nell’ambito dell’MVU risultano lievemente innalzati rispetto al 2015, in media di circa 30 punti base. In aggiunta alle misure di secondo pilastro, l’introduzione graduale delle riserve di capitale richiede un aumento della dotazione patrimoniale di circa 20 punti base. In luglio i GVC hanno iniziato a incontrare i rappresentanti delle banche per informarli sui coefficienti SREP applicati. Ritengo che, una volta approvati, i risultati definitivi e le informazioni sui principali aspetti della metodologia SREP forniranno un’indicazione di quali saranno a regime i requisiti di secondo pilastro nell’MVU.

A causa dei risultati dello SREP la BCE è stata tacciata di incoerenza. Alcuni sostengono infatti che, mentre la politica monetaria cerca di rilanciare l’economia attraverso misure di allentamento quantitativo (quantitative easing), la vigilanza bancaria della BCE costringa le banche ad aumentare la propria dotazione patrimoniale sulla base dello SREP. Secondo le critiche, fissare i requisiti di capitale al di sopra del minimo regolamentare soffoca la ripresa dell’economia reale che la BCE tenta di favorire con la sua politica monetaria.

Non vi stupirà che io la veda diversamente. Lasciate che ve ne illustri i motivi. In primo luogo, in una prospettiva di breve termine, di primo acchito potrebbe sembrare corretto affermare che l’imposizione di requisiti di capitale aggiuntivi induca a ridurre l’erogazione di prestiti all’economia reale. Io però ne dubito. La maggior parte delle nostre banche detiene riserve di capitale al di sopra dei requisiti minimi; pertanto le decisioni SREP non avrebbero un impatto significativo sull’offerta di credito da parte di tali enti, e gli effetti sull’economia reale sarebbero limitati. Anche qualora un ente creditizio riducesse la leva finanziaria a seguito di una decisione SREP, è ragionevole ipotizzare che per raggiungere tale obiettivo ridimensioni in primis le attività non strategiche. L’erogazione di prestiti dunque non ne risentirebbe in prima battuta. L’applicazione di coefficienti patrimoniali più appropriati a seguito di una decisione SREP comporterebbe inoltre una diminuzione dei costi di finanziamento della banca, che dovrebbe avere un effetto positivo sul credito all’economia reale. Gli effetti positivi che si otterrebbero nel breve termine dalla mancata imposizione di requisiti patrimoniali superiori al minimo regolamentare sono quindi discutibili.

Al contrario, le implicazioni negative di tale scelta nel lungo termine sono molto chiare. Se le banche non accumulano riserve di capitale adeguate saranno vulnerabili agli andamenti avversi nel medio-lungo periodo. L’incertezza e la scarsa fiducia nel settore bancario ostacolano la ripresa economica. Del resto, l’economia non può fare affidamento su banche che ottengono buoni risultati solo quando splende il sole. Per tale motivo nelle decisioni SREP chiediamo alle banche di detenere più capitale rispetto ai minimi regolamentari. Naturalmente non parliamo soltanto in termini di quantità, ma anche di qualità del capitale. Il lavoro svolto sulle opzioni e sulle discrezionalità nazionali si sta rivelando di grande utilità ai fini della valutazione della qualità del capitale che le banche hanno in bilancio. Nell’attuare le linee di policy comuni dell’MVU relative alle diverse ODN ci assicureremo anche di lasciare alle banche un lasso di tempo ragionevole per raggiungere la piena applicazione dei coefficienti patrimoniali.

Avendo sottolineato l’importanza che rivestono livelli adeguati di capitale di qualità elevata, vorrei anche ricordare che le misure patrimoniali sono soltanto uno degli strumenti di cui ci avvaliamo per assicurare un’adeguata capacità di tenuta delle banche. Dalla crisi abbiamo appreso che gli enti creditizi devono impegnarsi di più per risultare solidi. Al riguardo le autorità di vigilanza possono avvalersi della visione olistica di una banca acquisita con lo SREP per contrastare i rischi a cui questa è soggetta. Imporre requisiti di capitale aggiuntivi è una misura di mitigazione adeguata per alcuni rischi, ma non per tutti.

Nello SREP valutiamo ad esempio l’assetto di governance delle banche, inclusi i sistemi di gestione del rischio e la propensione al rischio. Ci siamo resi conto che in tale ambito sono necessari ulteriori importanti progressi. Si pensi ai rischi connessi all’esternalizzazione di servizi a soggetti terzi da parte delle banche, o all’importanza di adeguati sistemi di aggregazione e fornitura dei dati. È essenziale che l’alta dirigenza e l’organo di amministrazione di una banca ricevano informazioni di elevata qualità sui rischi. Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato di recente i principi per un’efficace aggregazione e reportistica dei dati di rischio, che forniscono un valido punto di riferimento per il rafforzamento delle prassi da parte delle banche. La BCE si concentrerà su questo nodo essenziale il prossimo anno.

Un’altra minaccia per l’integrità dei dati, apparentemente molto diversa dai rischi prudenziali, è rappresentata dal rischio informatico. Si tratta di un ambito relativamente nuovo della vigilanza che necessita di un tipo di professionalità diversa, ma non deve essere in alcun modo sottovalutato rispetto a qualsiasi altro rischio prudenziale.

In passato le banche si sono trovate a gestire il rischio di malfunzionamenti dei sistemi informatici che potessero impedire la loro regolare operatività, ovvero esporle a perdite operative e danno reputazionale. Nella realtà di oggi i rischi in questo ambito includono anche gli attacchi informatici, che sono la versione digitale della classica rapina in banca, ad opera di singoli individui o organizzazioni criminali. Nell’anno in corso abbiamo svolto una verifica della sicurezza informatica, che ha messo in luce le banche presso le quali condurre ispezioni in loco. È anche in fase di definizione una procedura per un attento monitoraggio degli incidenti informatici significativi presso le banche, che ci dovrebbe permettere di acquisire una visione d’insieme degli andamenti e degli sviluppi in materia di rischio informatico.

La governance, i sistemi di gestione del rischio e il rischio informatico sono validi esempi di aspetti per i quali i requisiti patrimoniali non sono il primo strumento da utilizzare. L’obiettivo di assicurare che le banche abbiano livelli sufficienti di capitale di elevata qualità si inquadrerà sempre in una prospettiva più ampia dei rischi prudenziali e delle misure atte a farvi fronte. Questa prospettiva emerge chiaramente dalle priorità di vigilanza per il 2016, che saranno pubblicate a breve sul sito Internet dedicato alla vigilanza bancaria.

Conclusioni

Un lungo cammino è stato percorso dall’inizio della crisi finanziaria nel 2007. Oggi le autorità di vigilanza sono dotate di strumenti migliori per assicurare che le banche abbiano una capacità di tenuta sufficiente in caso di andamenti avversi. A tale riguardo è stato significativo iI contributo fornito dal processo di armonizzazione del regime di vigilanza prudenziale. Ho ricordato i numerosi traguardi che abbiamo raggiunto in questo primo anno: la valutazione approfondita e le misure adottate di conseguenza, il primo ciclo di decisioni SREP redatte sulla base di una metodologia comune e alcune analisi tematiche. Ho anche rilevato la necessità di ulteriori importanti progressi. Sul fronte dell’armonizzazione occorre rafforzare la convergenza sul piano della regolamentazione e delle prassi di vigilanza: il corpus unico consente ancora troppe difformità all’interno dell’MVU e l’armonizzazione delle prassi di vigilanza non è stata ancora ultimata.

Abbiamo tutti un ruolo importante da svolgere. I legislatori e le autorità di vigilanza nazionali dovranno rendersi disponibili a modificare prassi consolidate. Da parte sua, la BCE si adopererà con costanza per promuovere ulteriormente l’integrazione, collaborando attivamente con le autorità di vigilanza nazionali. Su questo ci concentreremo nel prossimo futuro.

Vi ringrazio dell’attenzione.

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