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Intervista con Milano Finanza

Intervista con Andrea Enria, Presidente del Consiglio di Vigilanza della BCE, condotta da Francesco Ninfole

22 Luglio 2023

[Una frase nella decima risposta di questa intervista è stata corretta il 25 luglio 2023 alle 12:30 per rifletterne il significato originario.]

Quali sono i principali compiti per la Vigilanza da qui alla fine del suo mandato a fine anno?

Continueremo a monitorare con attenzione lo sviluppo dei mercati in questa delicata fase. Siamo ancora in un periodo che segue alle ripercussioni dell’aggressione russa in Ucraina, al balzo nell'inflazione e all’aumento veloce nei tassi. Tutto questo crea sfide per le banche in termini di rischio di tasso, di liquidità e di funding. Saremo molto focalizzati su questi rischi negli stress test e nel processo Srep che verrà completato entro dicembre.

Cosa hanno insegnato le recenti crisi di Svb e Credit Suisse?

Quando ci sono crisi bancarie, di solito la reazione è iniziare a pensare a riforme regolamentari. Secondo me in questo caso la lezione principale è sull'efficacia della vigilanza e dei controlli interni delle banche, più che delle regole. So che ci saranno discussioni anche nei tavoli internazionali, ma non credo che sarebbe saggio ricalibrare i requisiti di liquidità sulla base di un modello di business così estremo come quello di Svb. Allo stesso modo non sarebbe corretto concludere che, siccome Credit Suisse rispettava i requisiti patrimoniali e di liquidità prima di fallire, allora quei requisiti sono sbagliati. In realtà Credit Suisse aveva un problema serio di modello di business e di governance. Questo ha portato alla crisi. Quindi le lezioni sono su come rendere la vigilanza più efficace per intervenire in maniera anticipata ed efficace e su come rendere i controlli interni delle banche più robusti.

Come gestire meglio il rischio di liquidità?

Ci sono requisiti di liquidità, basati su indici come il Lcr e Nsfr, che sono armonizzati a livello internazionale. Rimangono importanti. Il Lcr è costruito per dare all'autorità tempo sufficiente per intervenire nel caso di uno shock di liquidità che rischia di portare la banca al fallimento. Ma questi indicatori da soli non danno una sufficiente copertura di fenomeni che si possono materializzare in tempi molto rapidi, come accaduto per la fuoriuscita di depositi da Svb e Credit Suisse. È importante che le autorità sviluppino anche proprie metriche. Noi ne abbiamo diverse, come la counterbalancing capacity, cioè guardiamo quante attività le banche possono usare come collaterale alla banca centrale, oppure possono vendere sul mercato o quali altre misure possono prendere per fronteggiare uno shock di liquidità. Il problema riguarda anche i dati. Ad esempio quelli sul Lcr li abbiamo su base mensile, con alcune settimane di ritardo nella consegna.

Come interverrete su questo punto?

Servirà rivedere la frequenza del reporting di vigilanza, come l’EBA ha suggerito in un recente rapporto. Seguendo quella indicazione, abbiamo deciso di inviare alle banche, a partire da settembre, una richiesta di informazioni su base settimanale, per avere dati più freschi che ci consentano di monitorare meglio l'evoluzione della liquidità. Si tratta in sostanza di inviare con maggiore frequenza le informazioni sulla liquidità che le banche già ci inviano su base mensile, in cui sono incluse, tra le altre, informazioni sulle scadenze, il tipo di controparti, il collaterale, le operazioni di rifinanziamento con la banca centrale. Questo sarà utile per vedere come si evolvono le attività e le passività più liquide, come i depositi. Per questi dati, che le banche sanno già di dover rendere immediatamente disponibili a richiesta, chiederemo anche una consegna più rapida e regolare, in attesa che l’EBA modifichi i requisiti regolamentari di reporting.

Interverrete negli Srep con più richieste di add-on di liquidità?

La liquidità è una delle priorità di quest'anno, quindi i team di vigilanza hanno un'indicazione di prestare maggiore attenzione a questo rischio nello Srep. È coerente con l’idea che non si debba intervenire necessariamente con la regolamentazione, ma sia preferibile guardare agli specifici rischi delle banche individuali. Se alcune dovessero presentare profili di liquidità rischiosi in alcune valute o aree geografiche o di business ci saranno raccomandazioni qualitative e in alcuni casi forse anche quantitative.

Qual è stato il ruolo di social media e digital banking nel recente calo dei depositi di Svb e Credit Suisse?

È una questione che dobbiamo discutere. Le autorità statunitensi e svizzere hanno sollevato il punto che alcune categorie di depositi hanno manifestato velocità di uscita molto più rapida di quella attesa. Detto questo, devo ancora essere convinto del fatto che il digital banking sia un fenomeno distruttivo per la liquidità delle banche in condizioni di stress. I depositi che sono usciti con maggiore velocità sono stati quelli non assicurati, soprattutto di imprese non finanziarie e istituzioni finanziarie. Non penso che i tesorieri di queste società usino lo smartphone per muovere i depositi. Quindi credo che sia più una questione di condizioni di mercato in rapido cambiamento per la normalizzazione rapida della politica monetaria, che una questione strutturale legata al digital banking.

Dopo le crisi di Svb e Credit Suisse sembrava che il successivo anello debole sarebbe stato in Europa. È stato quello il momento più difficile della sua presidenza? 

Ci sono stati diversi momenti complicati. Anche l’inizio della pandemia è stato un momento di grande tensione, con visibilità nulla su quello che poteva succedere. L'economia era congelata e anche i nostri strumenti di vigilanza sono stati influenzati, non potevamo più andare a fare ispezioni. Certo, questo momento di crisi a marzo è stato molto delicato. Ha mostrato anche gli effetti positivi della vigilanza europea e delle riforme dello scorso decennio, però si è capito che rimane una elevata volatilità nei mercati, con forte nervosismo, e che il profilo di rischio può cambiare in maniera molto rapida.

Cosa ha messo in luce questa crisi sulle banche europee?

Il sistema bancario europeo ha riguadagnato sul campo una buona stabilità. I livelli patrimoniali sono soddisfacenti, quelli di liquidità sono robusti, la qualità degli attivi non è mai stata così buona. La redditività, che è stato il punto debole del sistema bancario europeo, ha preso a crescere e sta tornando su livelli fisiologici. Cominciamo a vedere le banche europee in grado di avere rendimenti al di sopra del costo del capitale nei prossimi mesi o anni. Alcune sono già arrivate a questo punto. La situazione si è molto normalizzata e molto irrobustita. Rimaniamo però in un contesto ancora molto delicato. Questo richiede a noi e soprattutto alle banche di prestare ancora un'attenzione molto elevata ai rischi.

Le banche sono vulnerabili al rischio tassi?

Abbiamo fatto un’analisi molto approfondita del rischio di tasso di interesse e di un allargamento degli spread creditizi già nella seconda metà del 2022. C’è un’esposizione al rischio di tasso, questo è normale. Quello che conta è capire come le banche lo gestiscono. La nostra analisi mostra che in termini di perdite non realizzate, quindi di deprezzamento di titoli detenuti al costo ammortizzato il cui valore di mercato sarebbe svalutato per l'aumento dei tassi, l'impatto non sarebbe particolarmente elevato a livello di settore. Ci sarebbero 73 miliardi di euro di perdite non realizzate, contro 620 miliardi di dollari per le banche Usa.

Per la maggior parte delle banche europee, l'aumento dei tassi è una buona notizia perché ha un effetto positivo sui margini. Ma se si guarda al valore economico dell'equity, quindi a come il bilancio viene impattato dalla valutazione di mercato di attività e passività, allora per molte banche che fanno trasformazione delle scadenze c’è un effetto negativo. Quindi le banche devono gestire in maniera accurata anche questo rischio ed è quello che abbiamo chiesto di fare. 

Non è pericoloso richiedere il mark to market dei titoli di Stato inclusi nell’indice di liquidità Lcr? L'Ue sta andando in direzione opposta nelle regole di Basilea3.

I legislatori in effetti non sembrano inclini a seguire le indicazioni che ho dato su questo tema. Capisco che c’è una questione di volatilità che può generarsi nei bilanci delle banche. Detto questo, il problema può sempre emergere, come visto nel caso di Svb che aveva optato per non applicare la valutazione di mercato ai titoli di Stato detenuti nel portafoglio titoli disponibili per la vendita. Nel momento in cui c’è stato un significativo shock di tassi di interesse, Svb ha avuto un ammontare significativo di perdite ed è poi fallita. Quindi avrebbe senso tenere al valore di mercato almeno i titoli che sono computati nei buffer di liquidità. L’indice Lcr serve proprio a consentire alla banca di fare fronte a esigenze improvvise di liquidità vendendo i titoli sul mercato. Quindi se questi titoli sono detenuti al costo ammortizzato c’è una chiara tensione tra l'obiettivo del requisito di vigilanza e la classificazione contabile.

Però sono poche le banche europee come Svb. Gli svantaggi della proposta rischiano di superare i vantaggi.

Il mio riferimento principale non è Svb, a essere sinceri, ma Dexia. Nel 2011 facemmo gli stress test all'Eba nel momento in cui stava iniziando la crisi del debito sovrano. I mercati avevano una grande attenzione alla valutazione dei titoli di Stato. Dexia uscì bene dai test ma perse l'accesso al funding in due settimane ed entrò in crisi perché valutando le esposizioni verso Stati e organismi pubblici al valore di mercato il livello patrimoniale veniva quasi totalmente eroso. La recente crisi insegna una cosa importante. Nei momenti normali i mercati osservano indicatori di patrimonio, liquidità, redditività eccetera. Ma in una fase di stress gli investitori guardano le banche soprattutto al valore di mercato, cioè alla sostenibilità del modello di business e al valore di liquidazione immediato. Tutte le banche vanno sotto stress quando questo accade, ma quelle più esposte a questo tipo di rischio sono considerate anelli deboli e vanno sotto attacco più velocemente. Perciò sarebbe meglio costruire ex ante una maggiore solidità nei bilanci delle banche e nella posizione di liquidità, tenendo una quantità sufficiente di attività al valore di mercato.

Già nel 2011 fu molto criticato per la svalutazione dei titoli di Stato nello stress test. Rifarebbe tutto?

Riprenderei le stesse decisioni, sicuramente, ma quelle decisioni non erano così rilevanti poiché erano gli investitori stessi che erano passati a una valutazione al valore di mercato. L’adeguatezza patrimoniale delle banche veniva guardata con un un'attenzione particolare al valore di mercato dei portafogli sovrani, perché c'era un allargamento molto significativo degli spread. La lezione che ho tratto è che le autorità di vigilanza non possono ignorare il modo in cui i mercati guardano le banche in una situazione di stress.

Le banche vi accusano di eccessiva puntigliosità nei dati degli stress test.

Sono convinto che sia importante mantenere l'aspetto bottom-up, cioè stress test basati sulle valutazioni che fanno le banche stesse usando i loro modelli. Questo mette più in connessione lo stress test con la gestione del rischio da parte da parte degli istituti di credito. La dimensione bottom-up però ha la controindicazione che le banche, sapendo che il risultato dello stress test determinerà anche il capitale che noi chiediamo, a volte hanno un incentivo a presentare risultati eccessivamente rosei nelle prime consegne di dati. Poi c’è un periodo di discussione. In passato e anche quest'anno mi sembra che si sia arrivati alla fine a dati credibili e di buona qualità.

Quali risultati ci possiamo aspettare negli stress test?

Gli esiti saranno pubblicati tra pochi giorni. I risultati rifletteranno anche il miglior punto di partenza delle banche europee, con livelli patrimoniali molto più elevati e una qualità degli attivi molto più solida e affidabile. Questo mette le banche in una situazione di maggiore forza.

Gli scenari avversi erano i più severi di sempre.

Prevediamo uno scenario che rimane anche ora molto rilevante, con un’inflazione persistente e una crescita più bassa del previsto, una situazione di stagflazione che sarebbe molto sfidante per le banche.

Che esiti prevede nei prossimi Srep? Vi aspettate requisiti patrimoniali stabili come negli ultimi anni oppure più alti per le recenti crisi?

Non abbiamo una calibrazione macro dei requisiti patrimoniali. Valutiamo le banche individualmente e c'è sempre una discreta mobilità nei punteggi. Sia per lo stress test che per lo Srep sarà più interessante guardare gli effetti distributivi, cioè come si muovono le banche, più che il livello medio dei requisiti di capitale. Gli attuali rischi hanno impatti molto differenziati.

Si aspetta conseguenze per i rimborsi Tltro? Vede rischi di credit crunch?

Era noto da tempo che le scadenze delle Tltro sarebbero arrivate. Abbiamo chiesto piani ben in anticipo e finora la pianificazione ha pagato. C’è stato solo un minimo deterioramento degli indicatori di liquidità. È nell'ordine delle cose che in un momento in cui la politica monetaria sta diventando più restrittiva, ci sia un inasprimento degli standard creditizi delle banche sia in termini di prezzi che in termini di quantità. Abbiamo visto che già in anticipo c'era stata una significativa riduzione della domanda di credito in certi segmenti, come quello dei mutui e dei prestiti immobiliari. Anche le banche stanno un po’ contraendo l’offerta.

Quali fattori hanno impedito il consolidamento cross border in Europa?

Un mercato più integrato a livello di Unione bancaria sarebbe utile perché più capace di contrastare possibili shock. Ci sarebbe una maggiore diversificazione del rischio, come negli Usa, dove la gestione delle crisi bancarie è stata più semplice. La mia preoccupazione è stata soprattutto eliminare quelli che si percepivano come ostacoli posti dall'autorità di vigilanza al consolidamento. Poi la scelta di procedere o meno, sta al management e agli azionisti. È vero, non abbiamo avuto concentrazioni cross border di altro profilo, ma abbiamo avuto molte transazioni su linee di business, come asset management, leasing, custodia, pagamenti.

Cosa occorre allora?

Quello che manca ancora è un atteggiamento, anche da parte della regolamentazione delle autorità nazionali, più positivo nei confronti del consolidamento cross border. C'è ancora molta riluttanza a consentire la gestione del capitale e della liquidità in pool a livello di gruppo bancario. Esistono vincoli molto stringenti, soprattutto sul capitale, ma anche sulla liquidità. Questo è un elemento dirimente. E forse anche le banche sono state finora molto concentrate su un recupero di redditività basato su riduzione dei costi e revisione del modello di business. Ora dovrebbero trovare anche un po’ più di coraggio per sviluppare la propria impresa su base europea. Capisco che con le valutazioni attuali sia stato ragionevole attuare buy backs e migliorare la remunerazione degli azionisti, ma in prospettiva spero che trovino anche modo e volontà di investire nello sviluppo della propria impresa su un mercato domestico veramente europeo. 

Servono fusioni anche in Italia? Serve un terzo polo oltre a Intesa e Unicredit?

Non ho obiettivi di politica industriale né a livello europeo né per l’Italia che comunque ha già avuto un processo di consolidamento significativo. Non trascurerei l'importanza di quello che è successo nel settore cooperativo, con l’istituzione dei gruppi Iccrea e di Cassa Centrale. Come in altri Paesi anche in Italia ci può essere ulteriore spazio per consolidamento, ma questa è una valutazione che lascio alle banche.

Come giudica il settore italiano? C’è il rischio di un aumento degli npl?

I tassi stanno aumentando e l'economia rallenta. Sarebbe sorprendente se non ci fosse un deterioramento della qualità degli attivi, in Italia come nel resto dell’area dell’euro. Quello che è stato fatto, però, sia in termini di regole di vigilanza sia in termini di pratiche bancarie, dovrebbe prevenire un’accumulazione di crediti deteriorati sulla scala che abbiamo visto dopo la grande crisi finanziaria. Le banche ora hanno anche obblighi legislativi a ridurre i crediti deteriorati e a fare accantonamenti entro tempistiche predefinite con il calendar provisioning. Inoltre la nostra vigilanza è molto penetrante. Quindi credo che nella prossima recessione non ci sarà comunque una valanga di crediti deteriorati come in passato. Quanto agli altri rischi, i gruppi italiani devono essere attenti come le altre banche europee su tassi, liquidità, funding e alle questioni più strutturali come la digitalizzazione, i rischi cyber e climatici.

Si aspetta restrizioni sui dividendi per alcune banche?

L'unica discriminante per noi è la traiettoria patrimoniale. Se le banche ci mostrano che i piani di distribuzione sono compatibili con il mantenimento di sufficienti livelli patrimoniali e di un rispetto continuato di requisiti di vigilanza anche in una situazione di stress non ci saranno obiezioni da parte nostra. Se invece alcune banche si dovessero trovare in queste proiezioni patrimoniali in situazioni più tese, allora sì, discuteremo anche l'opportunità dei livelli di distribuzione. 

La Bce è stata più attenta al rischio di credito che di mercato?

La Vigilanza Bce ha iniziato a lavorare in un momento in cui avevamo più di mille miliardi di npl. Allora la priorità era pulire i bilanci delle banche, anche per aumentare la capacità delle banche di sostenere la ripresa dell'economia europea. Detto questo, non abbiamo un rischio preferito. Le priorità sono definite ogni anno in base alla configurazione dei mercati e alle traiettorie di sviluppo europee. Ultimamente, per esempio, ci siamo molto concentrati sul rischio di controparte, sulle attività di prime brokerage, di leverage finance che sono focalizzate sul mercato dei capitali. 

Cosa risponde ai banchieri secondo cui siete stati troppo intrusivi nei cda?

Abbiamo iniziato l’attività a livello europeo partendo da differenti pratiche nazionali. In Germania l'autorità di vigilanza sedeva regolarmente nei consigli d'amministrazione delle banche. In Francia era molto inusuale. La nostra pratica è ragionevole. Non partecipiamo con regolarità ai cda, lasciamo grande libertà, interagiamo con i presidenti. Di tanto in tanto conduciamo analisi per vedere come funziona il board e qual è la sua efficacia. Questo non si può vedere solo leggendo le minute, richiede una qualche comprensione del dialogo e dell'interazione tra il management e tra gli amministratori indipendenti. Quindi la partecipazione è uno strumento utile, diffuso anche tra altre autorità globali, e intendiamo continuare a usarlo.

Nell’Eurozona i requisiti di capitale sono più alti che negli Stati Uniti?

Stiamo ancora conducendo un’analisi più dettagliata sulla questione, ma il risultato preliminare è chiaro. I requisiti patrimoniali a cui sono soggette le banche europee sono in media più bassi rispetto agli Stati Uniti. Certo, c’è una differenza tra tipi di banche. Quelle statunitensi più grandi, le cosiddette G-Sibs, devono rispettare requisiti di capitale molto più elevati delle nostre, mentre quelle medio-piccole negli Stati Uniti hanno requisiti molto inferiori, come abbiamo visto per le banche regionali.

Riguardo all’Unione bancaria, la Bce ha suggerito alla Commissione di essere più ambiziosa sulle regole di gestione sulle crisi attivando una clausola di esenzione al bail-in per salvaguardare la stabilità finanziaria. Si riconosce che il bail-in può essere uno strumento troppo rigido nelle crisi?

Sosteniamo molto la proposta della Commissione. L’innovazione fondamentale è quella di consentire soluzioni più flessibili nella gestione delle crisi, anche con un utilizzo di funding privato. Abbiamo già il Single Resolution Fund e 21 fondi di assicurazione dei depositi nazionali. Se si sommano, l’ammontare di risorse è uguale se non superiore a quello del Fdic negli Stati Uniti. Ma abbiamo molti meno margini di manovra nell'uso di questi fondi. La cosa più importante è rendere più flessibile la gestione delle crisi, anche perché questo è strumentale al passo successivo, cioè alla garanzia comune sui depositi. Riguardo alla clausola di esenzione sistemica, quello che è successo negli Stati Uniti mostra che in certe situazioni questo tipo di strumento può essere utile.

Ma il vincolo all’uso del Single Resolution Fund è stato proprio la necessità di fare prima il bail-in dell’8% del passivo. Una manovra che spaventa investitori e risparmiatori. Ritiene utile che i fondi di tutela possano colmare il gap fino all’8% se necessario?

Questa è una proposta positiva da parte della Commissione. Ampliare la possibilità di utilizzo dei fondi di garanzia dei depositi è un elemento essenziale. Però è importante anche la richiesta alle banche, inclusa nelle riforme più recenti, di mantenere passività collocate sul mercato, non a investitori retail, tali da poter essere convertite in azioni o azzerate nelle crisi (Mrel, ndr). Il fatto che le banche regionali statunitensi non fossero soggette a questi requisiti ha anche comportato che fossero eccessivamente dipendenti da forme di finanziamento a vista.

La Commissione però estende le risoluzioni e il bail-in anche alle banche medio-piccole che hanno più difficoltà a emettere questi titoli più rischiosi sul mercato. 

Perciò occorre consentire l'utilizzo dei fondi di garanzia per le banche che hanno una struttura del passivo focalizzata sulla raccolta dei depositi al dettaglio, sulla base di un principio del costo minimo.

È giusto imporre requisiti di capitale per i rischi climatici? Si possono penalizzare zone dove sono maggiori i pericoli ambientali, come è accaduto per la Romagna per esempio.

Mi è capitato di vedere una mappa dell'Europa con tutte le aree soggette a rischio di incendi o alluvioni ed era difficile trovare un'area priva di rischi climatici. Non bisogna enfatizzare la questione del capitale. Chiediamo alle banche di valutare e gestire questi rischi, se per esempio non si sta valutando in maniera accurata il valore del collaterale in una certa posizione.

Avete detto però che dal 2024 inizierete a fare sul serio sul clima. 

Il punto di arrivo nel lungo termine di questo dibattito è una situazione nella quale le banche misurano questi rischi e li catturano nei requisiti patrimoniali per rischio di credito, rischio di mercato, rischio operativi. Ora, in questa fase di transizione è possibile anche che si usino strumenti di vigilanza. Abbiamo chiesto alle banche di rispettare le nostre aspettative entro certe scadenze. Se alcune non saranno in linea ci dovremmo chiedere che tipo di azioni intraprendere, ma non è detto che sarà un aumento dei requisiti patrimoniali. Potranno esserci azioni di enforcement o sanzioni o altro. È importante che le banche capiscano l'urgenza di rispettare le indicazioni su questi rischi fisici. Poi ci sono anche i rischi di transizione che comportano un'altra sfida che sta partendo solo ora. Le banche e le imprese dovranno fare dei piani di transizione per requisito legislativo. Sarà un processo in cui tutta l’economia sarà coinvolta e nella quale le banche giocheranno un ruolo importante. 

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