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Andrea Enria
Chair of the Supervisory Board of the ECB
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Intervista al Festival dell’Economia

Trascrizione di una conversazione tra Andrea Enria, presidente del Consiglio di Vigilanza della BCE, e Mariangela Pira tenutasi il 26 maggio nell’ambito del Festival dell’Economia di Trento

19 June 2023

Partiamo subito dal tema attuale, la situazione delle banche in questo momento in Europa, che situazione è, che stato di salute hanno? Lei una volta mi ha detto questa equazione: banche americane, banche europee, banche svizzere, è un'equazione che è un po’ scorretta. Quindi lo stato di salute al momento delle banche europee qual è?

Lo stato di salute delle banche europee è buono. Se facciamo una fotografia oggi in termini di solidità patrimoniale, liquidità, redditività, la situazione è molto buona.

Come diceva giustamente, una lettura incrociata, che proietti le difficoltà che abbiamo visto per le banche regionali americane o anche Credit Suisse sulle banche europee, non è in realtà corretta perché le banche americane che sono andate in crisi avevano dei modelli di business molto estremi, molto particolari. Avevano molti depositi non assicurati, elevata concentrazione su titoli di Stato, sul settore tecnologico. Non vediamo banche simili in Europa. Però questo non ci deve spingere a essere eccessivamente rilassati. È un periodo in cui ci sono ancora livelli di rischio elevati. L'incremento dell'inflazione, la rapida uscita dai tassi di interesse negativi, il rapido cambiamento dei tassi di interesse, pongono anche dei rischi ed è importante che le banche europee stiano particolarmente allerta e gestiscano questi rischi in maniera molto attiva.

In particolare, quello che abbiamo visto, è che l'aumento dei tassi di interesse per le banche europee, in generale, è una buona notizia. Però bisogna anche stare attenti perché nei momenti di turbolenza sui mercati, come abbiamo visto recentemente, gli investitori e i mercati non guardano solo alla redditività, guardano anche al valore di mercato degli attivi delle banche, che ovviamente può essere negativamente influenzato dall'aumento dei tassi. Quindi è un momento ancora delicato e bisogna essere sempre allerta.

Se lei dovesse vedere la situazione in prospettiva e le si chiedesse: in questo momento, il rischio che vedo è questo. Cosa risponderebbe?

Marzo è stato un mese difficile. Quello che si è visto sono state dinamiche molto distruttive, in cui i depositi hanno iniziato a muoversi molto rapidamente, molto più rapidamente che in passato. Una cosa che mi ha preoccupato di questi casi negli Stati Uniti, ma anche in Credit Suisse, è stata la velocità con cui i depositi hanno iniziato ad uscire dalle banche. Può essere legata alla digitalizzazione, al fatto che spostare i fondi è molto più facile sullo smartphone di quanto fosse un tempo; o magari ai social media, che danno un canale di diffusione di notizie - o false notizie - molto più rapida. La reazione dei depositanti è così molto più rapida. Mi ha anche preoccupato il grande nervosismo che c’è sui mercati, determinato dal cambiamento rapido dei tassi di interesse; gli investitori tendono a prendere posizioni speculative, magari sulle azioni, o magari sui CDS, sugli strumenti di protezione del rischio, che poi contaminano anche i depositi. Una cosa che mi ha poi colpito è che, durante la crisi, le imprese, le istituzioni che hanno depositi nelle banche tendono a guardare i prezzi azionari e gli spreads sui CDS come valori che li portano a ritirare depositi. Queste turbolenze che legano mercati azionari, mercati di strumenti per la protezione del rischio e depositi, è una situazione che mi preoccupa sinceramente.

Questa cosa che lei dice è vera, nel senso che risulta anche a me. Spesso mi dicono: guarda che il tale CDS sta salendo, quindi attenzione perché questo sta creando tensione sul mercato. L'altro giorno è accaduto, credo, sui CDS sul debito americano. Quindi bisogna sempre prestare molta attenzione a questo.

Se posso dire ancora una cosa su questo. Un punto, che ho fatto recentemente e che per me è molto importante, è che questi mercati sono mercati molto illiquidi, dove non ci sono molte transazioni, è molto facile muovere i prezzi e a volte ci possono essere anche casi di manipolazione. Bisogna essere molto attenti. Anche le autorità a tutela dei mercati devono cercare di garantire una trasparenza nel funzionamento di questi mercati. L'ESMA, l'autorità europea, si sta occupando di questa cosa, che credo sia molto importante.

Un analista, prima di moderare questo evento, mi ha detto: vedrai che il problema delle banche, che è stato americano, è stato svizzero, porterà a una regolamentazione ancora più stretta per le banche europee. Come dire, noi in qualche modo subiremo delle regolamentazioni più strette, visto quanto sta accadendo alle banche. Invece, poi, alla fine, non è successo, questo, no? Secondo lei le misure messe in piedi, peraltro in epoca di crisi, perché poi la vigilanza bancaria è nata in epoca di crisi - la Grecia, mi viene in mente il post Lehman Brothers...Quello che mi chiedo è: sono sufficienti tali misure secondo lei in questo momento?

Ogni volta che c'è una crisi il riflesso quasi automatico è quello di dire: c'è un buco nelle regole, dobbiamo fare una riforma. Io non credo sinceramente che sia il caso rispetto agli eventi che abbiamo visto negli ultimi mesi. Le autorità americane hanno fatto dei rapporti molto interessanti, anche molto onesti, sulle lezioni da trarre da quelle crisi e credo che emerga con chiarezza che i due problemi fondamentali siano stati la governance - i controlli interni delle banche – e, come hanno onestamente ammesso le autorità statunitensi, qualche debolezza dal lato della vigilanza bancaria. Quindi secondo me dobbiamo concentrarci più su questi due aspetti. Può darsi che si debba avere qualche ricalibrazione di qualche requisito. Sui requisiti di liquidità, per esempio, c'è una stima di quanto velocemente i depositi di diverse categorie di depositanti potrebbero lasciare la banca, per dare all'autorità un certo periodo di reazione. Ecco, magari quelle stime sono già un po’ obsolete e può darsi che si debbano un po’ rivedere; però, secondo me, non c'è bisogno di grandi riforme in questo momento. Da un lato le banche devono concentrarsi molto di più sui controlli dei rischi, sull’avere una buona gestione del rischio. Devono avere una buona governance, un buon funzionamento dei consigli di amministrazione, che devono riuscire a essere più esigenti nei confronti del management, sollevare più domande. Dall’altro lato, le azioni della vigilanza a volte dovrebbero essere più determinate. Un’altra cosa che mi piace dire è che le banche a volte ci hanno criticato qui in Europa perché siamo un po’ troppo invadenti sulla governance, perché diamo delle indicazioni su come la banca è organizzata, su come sono organizzati i controlli interni, perché interferiamo con la libertà di quello che è un po’ il sancta sanctorum dell'impresa, col funzionamento del consiglio di amministrazione. Però credo che gli eventi di questi mesi abbiano dimostrato che bisogna essere esigenti. Se la governance non funziona, poi la banca rischia di andare a sbattere contro un muro.

Tra l'altro, nella domanda era implicito che gli analisti che mi dicevano questo, mi dicevano: guarda che in molti magari criticano questo genere di intromissioni o di regole però, alla fine, l'unico sistema bancario che ha tenuto è quello europeo, quello che non ha fatto preoccupare rispetto appunto a quello che è accaduto negli Stati Uniti. Quindi aveva un'implicazione positiva, non negativa, rispetto all'operato della vigilanza. Guardando invece all'European Court of Auditors, a questa Corte europea di auditor che appunto fa gli audit, tra cui anche alla BCE. Emerge che hanno trovato alcune falle, come lei sa. La domanda che le faccio è: da una parte voi avete aperto i vostri cassetti e i vostri armadi agli esterni. Come a dire: venite pure a fare il vostro lavoro. E dall'altra però, come risponde a queste falle che sono state trovate?

Mi fa piacere che dica questa cosa perché ci tengo molto. Quando sono arrivato alla Bce, nel 2019, c'era una forte tensione tra la Corte europea e la Bce perché nel Trattato, per proteggere l’indipendenza della Bce, vi sono disposizioni molto restrittive sulla capacità della Corte e di altre entità di fare audit completi, per cui gli audit, sostanzialmente, sono limitati a questioni di efficienza gestionale. Però io ho pensato che un'autorità di vigilanza debba essere accountable, debba dare conto del proprio operato. E quindi è importante aprire le porte e i cassetti e lasciare che ci sia scrutinio su quello che facciamo. Quindi abbiamo sottoscritto un accordo con la Corte, un memorandum of understanding come diciamo noi, che gli consente di fare audit più approfonditi, e questo di cui parla è il primo audit che hanno fatto in seguito alla firma dell’accordo. Tra l'altro sono orgoglioso anche di un’altra cosa: se guardiamo ad altri paesi, si fanno rapporti dopo una crisi per vedere cosa non ha funzionato bene. Noi invece abbiamo chiesto a un gruppo internazionale di esperti di vigilanza di fare un’analisi su come funziona il nostro processo di vigilanza e il loro rapporto è stato pubblicato poche settimane fa e ora stiamo dando seguito sia a questo rapporto che a quello della Corte.

Detto questo, nel rapporto della Corte ci sono molte cose utili. Noi stessi stavamo migliorando alcuni dei nostri processi interni per diventare più rapidi e più efficienti. Sappiamo che i nostri processi sono un po’ farraginosi - anche le banche spesso ce lo fanno notare. Insomma, stiamo cercando di fare un po’ di messa a punto, di aumentare l'efficienza e la trasparenza delle nostre attività; è un'azione sulla quale siamo molto concentrati. Ci sono anche alcuni punti sui quali abbiamo un po’ più di dubbi sulle osservazioni della Corte. Ad esempio, uno di questi, è che loro pensano che noi non siamo stati sufficientemente severi nel chiedere requisiti patrimoniali a banche con attività deteriorate - non performing loans - molto elevate, che non abbiamo alzato abbastanza il livello di capitale richiesto per le banche con maggiori attività deteriorate e quindi più rischiose sotto questo aspetto. Però c’era un motivo per cui abbiamo fatto questo, che io considero molto ben giustificato: queste banche - stiamo parlando sostanzialmente di banche che avevano più della metà dei propri crediti in situazioni di difficoltà - erano banche impegnate in un processo complicato di vendita, di cartolarizzazione di questi crediti. Per farlo, avevano bisogno di risorse adeguate, di “spazio patrimoniale” come lo chiamiamo noi: dovevano essere in grado di assorbire le perdite risultanti dalla vendita di questi crediti a prezzi al di sotto del valore di carico. Quindi, se noi avessimo alzato molto i requisiti patrimoniali, le banche non avrebbero potuto avere lo spazio per vendere le attività deteriorate e quindi la loro diminuzione non sarebbe stata così rapida ed efficace come è stata negli ultimi anni. Quindi questo è un punto a cui forse non daremo seguito alle osservazioni della Corte, con tutto il rispetto istituzionale che è dovuto, ovviamente.

Un altro punto. La domanda delle domande. Che cosa manca Enria all'Unione bancaria?

All'Unione bancaria, quello che manca è il terzo pilastro, l'assicurazione dei depositi europea. Questa è una mancanza grave. Mario Draghi diceva giustamente che senza l'assicurazione dei depositi comune c'è un problema anche per la moneta unica, perché se guardiamo gli aggregati monetari, più del 90% della “moneta”, come viene definita dagli economisti, è costituita da depositi presso le banche commerciali. È poco il contante che abbiamo in tasca, che è una passività diretta della Banca centrale. Se 1 € depositato in una banca a Cipro ha un valore diverso di 1 € depositato in una banca a Helsinki, è chiaro che c'è un problema di mancanza di integrità della moneta unica, e questo è un problema istituzionale fondamentale. Durante la grande crisi, abbiamo visto che i depositi cominciavano a spostarsi da un paese all'altro anche per una preoccupazione sulla garanzia effettiva fornita dall'assicurazione dei depositi in alcuni paesi, dai fondi di assicurazione dei depositi nazionali, che hanno la capacità di rimborsare i depositanti in caso di crisi. Questo è un elemento fondamentale che chiuderà anche il processo di separazione tra banche e Stati sovrani. Questo circolo vizioso, che abbiamo visto all'opera durante la crisi di debito sovrano, tra Stati e banche, ha bisogno, per essere veramente tagliato, di un fondo di garanzia europeo e questo ancora manca, ed è un peccato.

Non voglio dire che l'Unione bancaria che abbiamo non sia funzionante o funzionale. L'Unione bancaria funziona. Potremmo andare molto avanti verso l'Unione bancaria anche con le regole che abbiamo ma a volte ci sono esitazioni o anche posizioni di policy di Stati Membri che purtroppo ostacolano questo processo.

Questo è un concetto un po' complicato. Provo a spiegarlo il più velocemente che posso. Prendiamo il sistema bancario statunitense. Supponiamo che fallisca una banca in Nevada, che ci sia una crisi del mercato immobiliare in Nevada. Innanzitutto, in Nevada sono presenti banche che vengono da tutti gli altri Stati degli Stati Uniti. Ciò vuol dire che le banche possono assorbire le perdite in Nevada con i profitti che fanno in Illinois, e quindi è meno probabile che vadano in crisi. In Europa, invece, c'è un problema di diversificazione geografica del rischio. Inoltre, se una banca in Nevada va in crisi, il fondo di garanzia statunitense, quindi federale, può vendere attività e passività di questa banca a banche che vengono da altri Stati e questo consente di risolvere la crisi più facilmente, in maniera indolore. In Europa i mercati sono molto più segmentati lungo linee nazionali, come abbiamo visto. C'è una crisi di Banco Popular? La compra Banca Santander. C'è una crisi di Sberbank? La parte croata se la compra la banca croata, la parte slovena se la compra una banca slovena. Manchiamo ancora di questa capacità di avere un sistema che lavori veramente a livello europeo.

Potrebbe essere fatto molto con quello che abbiamo. Noi abbiamo cercato di aprire a concentrazioni transfrontaliere – cross-border - alla trasformazione di filiali in sportelli che aiuterebbe questo processo; abbiamo cercato di aiutare il pooling della liquidità a livello di gruppo. Ma le banche stesse, talvolta dissuase magari dalle autorità nazionali, non hanno fatto grandi passi avanti. Spero che negli anni futuri ci sia una nuova spinta in questa direzione di integrazione.

È interessante però, perché, spiegato così, ovviamente uno capisce anche tanto quelli che sono i vantaggi. Da una parte probabilmente è una questione molto politica, a livello dei singoli Stati membri. Quindi, si deve proprio superare quella parte politica, e dall'altra anche un certo populismo. Perché, invece, si dice: perché volete che accada questo? Cosa dobbiamo fare? Perché dobbiamo aiutare la Germania? Faccio un esempio delle frasi che si sentono mentre, invece, detta così, se tu hai delle perdite in uno Stato le puoi assorbire perché sei presente anche in un altro, è proprio ovvio, è lapalissiano che ci sia un vantaggio. È come se occorresse un quid in più dal punto di vista politico in questa Europa prima che poi, appunto, ci sia l'Unione bancaria.

Proviamo a metterci nei panni di chi ha una posizione più preoccupata. Una di queste preoccupazioni è: se poi qualcosa va male, l'impatto sarà sul mio fondo di garanzia dei depositi nazionale, che ha ovviamente una rete di protezione da parte del fisco nazionale, quindi voglio essere più in controllo. Però, insomma, è un po’ miope come ragionamento perché, facendo così, in realtà, si aumenta la probabilità che questo evento negativo si realizzi e che quindi ci sia un impatto sui fondi di assicurazione nazionali. Tutto il processo, che ora è molto complicato, di integrare anche questa rete di protezione nazionale in una rete di protezione europea, è ostacolato esattamente da questi processi.

E poi diciamo anche la verità: le banche, secondo me, purtroppo, sono ancora viste come uno strumento molto legato alle politiche nazionali. E questo è un po’ un problema che dovremmo cercare di dipanare nei prossimi anni.

Se esistesse un fondo di garanzia, diciamo europeo per chi si è espanso in tutta l'Europa, in modo da dire: OK, non hai più quel dettame che lega una perdita fuori dai confini al fisco di casa tua. Questa la vede una ipotesi, sarebbe anche più vendibile nei confronti dei più scettici, o no?

Sì, certo, ma già ora abbiamo un Fondo di risoluzione unico, che è l'unica parte totalmente paralizzata…

...che non è una cosa che piace tantissimo, in generale, dico, all'opinione pubblica...

Sì, ma mi sorprende perché, alla fine, è alimentato dalle banche; quindi, nessuno in questa stanza paga un solo euro per questo fondo. Le banche pagano per gestire situazioni di crisi che le possono riguardare collettivamente. Seconda cosa: tutta la legislazione è stata costruita in maniera tale da minimizzare l'impatto su questo fondo cercando di far assorbire le perdite, innanzitutto, agli azionisti e ai creditori, cioè di arrivare al fondo solo in terza battuta e quindi anche questo è positivo. E poi, di fatto, la sola esistenza di questo fondo è un elemento di riduzione del rischio collettivo che abbiamo. Quindi è un elemento secondo me molto, molto positivo. Poi, diciamo la verità: tutti quanti pensano a quanti depositi assicurati (i.e., sotto i 100,000 €) hanno le banche europee nell'area dell'euro, nell'Unione bancaria. Grosso modo adesso siamo sopra ai 7000 miliardi, 7500 circa. Allora, il modo in cui un ministro delle finanze guarda a questa cifra è: se faccio un fondo comune sto firmando una garanzia per 7500 miliardi. In realtà, se uno guarda a come opera il fondo di garanzia negli Stati Uniti, pur dopo tutte le crisi della grande crisi finanziaria, si accorge che il Tesoro americano non ha speso 1 dollaro per rimborsare il Fondo. Il Fondo di fatto agisce, prende delle perdite, quindi riduce le risorse che ha a disposizione, e poi ricarica commissioni sulle banche per ristabilirle. E questo ha funzionato benissimo, tanto è vero che negli Stati Uniti, dopo la crisi, sono uscite dal mercato più di 500 banche nel giro di tre anni, il sistema è ritornato in redditività e ci siamo interrogati per 10 anni su come mai le banche europee fossero così meno redditizie, avessero valutazioni sui mercati così più basse delle banche americane. Il motivo è che nel sistema statunitense hanno usato questo fondo per pulire il mercato, ristrutturare, riorganizzare, fare concentrazioni e ripartire. E l'hanno fatto in maniera molto veloce. Noi, alla fine l'abbiamo fatto anche noi - perché ora le nostre banche sono solide - ma ci abbiamo messo 12, 13 anni. Insomma, è stato un po’ più faticoso.

Certo, assolutamente chiarissimo. E parliamo adesso di alluvione perché volevo attualizzare anche un po’ questo nostro incontro, in quanto non possiamo non guardare a quello che è successo in Emilia-Romagna. Io so che voi, anche sul cambiamento climatico, state facendo tante cose. Quindi volevo approfittare anche di questa occasione per raccontare che cosa fate sul fronte del cambiamento climatico, perché magari uno vede invece questa istituzione come quasi non occuparsene. Non è così?

Frank Elderson, che è il Vicepresidente della vigilanza bancaria della Bce, ha detto giustamente, chiaramente, che noi non siamo policy makers nel campo del cambiamento climatico. Gli attori veri sono altri. Noi siamo policy takers. Quello che noi facciamo è dire: visto che siamo in una crisi climatica e siamo in un momento in cui l'Unione europea sta disegnando politiche molto ambiziose nel campo del cambiamento climatico, questo genera dei rischi importanti per il sistema bancario e noi, come autorità di vigilanza, dobbiamo spingere le banche a misurare, gestire e in tutta trasparenza dare conto di come loro prendono e gestiscono questi rischi. Già nel 2020 abbiamo dato alle banche una serie di indicazioni, quelle che sono le nostre aspettative su cosa ci aspettiamo che le banche facciano, in termini di assegnazione delle responsabilità a livello di board, di definizione di un risk appetite framework – i livelli di rischio che si vogliono prendere sul clima –, di capacità di fare stress testing sul clima, di dare conto, trasparenza alle proprie esposizioni.

Le banche hanno onestamente ammesso che sono piuttosto distanti da queste aspettative che abbiamo fissato. Quindi con ogni banca abbiamo determinato un percorso per arrivare a essere totalmente in linea con le nostre aspettative entro la fine del 2024, e questo è quello che sta succedendo. Se le banche non saranno in grado di farlo, ovviamente ci saranno delle penalizzazioni dal punto di vista di vigilanza; questo l'abbiamo detto chiaramente. Le banche si lamentano molto perché dicono: ma non abbiamo informazione, non abbiamo i dati, i nostri clienti non ci danno dati che ci consentano di misurare l'esposizione al rischio climatico. Facciamo un esempio: i certificati di come gli edifici, gli appartamenti che sono dati come collaterale alle banche, siano classificati da un punto di vista energetico. Molte banche non hanno questa informazione. Però è un'informazione fondamentale! Se uno fa un prestito a 25 anni deve sapere quanto varrà tra 25 anni quel tipo di collaterale. Spingere le banche a dotarsi di queste informazioni è molto importante. Abbiamo quindi pubblicato le buone pratiche che vengono seguite nel settore. Ci sono banche che lo hanno fatto, che, anche in assenza di dati, sono state in grado di stimare e di gestire meglio il rischio. Abbiamo fatto un'opera di divulgazione delle buone pratiche e aver fatto questo a livello di Unione bancaria, è un vantaggio, perché se uno è in un piccolo paese non ha questa visibilità sui migliori esempi in tutto il settore europeo.

Di fatto poi le banche forse sono una delle poche società ad avere una mole di dati immensa. Se gestiti bene quei dati possono essere veramente una buonissima fonte di informazioni. Poi con le tecnologie a disposizione, oggi, a partire dall'intelligenza artificiale, la domanda che le faccio è: quando parlate con le banche vi sembra che siano consce di questo problema? Del problema comunque del cambiamento climatico, che devono accelerare per un cambiamento?

Credo le banche europee siano molto più avanti delle banche in ogni altra parte del mondo in questo momento. C'è stata un po’ di lentezza e sorpresa all'inizio, e anche qualche critica nei nostri confronti per essere un po’ troppo esigenti. Però credo che ora le banche abbiano siano più consapevoli e che molte di queste abbiano anche sviluppato politiche proprie, abbiano compreso che questo è anche un elemento di vantaggio competitivo, alla fine. Il cambiamento climatico è anche una grande opportunità per le banche. Ci saranno finanziamenti giganteschi che andranno mobilizzati per sostenere il cambiamento che è necessario e anche le banche si stanno attrezzando. C'è un po’ di ritardo ma, anche con un pochino di spinta da parte nostra, credo che alla fine dell'anno prossimo saremo già in un altro pianeta da questo punto di vista.

Sì, deve essere un qualcosa che coinvolge tutti. Le grandi aziende devono spingere le piccole, le istituzioni devono spingere le banche, insomma.

Secondo me è anche una quesitone di mentalità. Le banche, e attraverso le banche anche i loro clienti, devono fare propria questa idea di pianificare la transizione, di pianificare come arrivare a net zero, a zero emissioni nel 2050. Tutti lo devono fare e le banche devono valutare la propria clientela anche sulla loro capacità di avere traiettorie credibili di riduzione del loro impatto ambientale. Questo sarà un lavoro fondamentale nel quale le banche possono anche dare un valore aggiunto per tutta la comunità.

*

Ci sono delle domande, degli spunti, dal pubblico?

Volevo fare al dottor Enria una domanda sui derivati, un argomento che non avete affrontato. Le banche europee, nei loro bilanci, hanno contabilizzato i derivati in un determinato modo. Siamo certi che non ci siano dei problemi di valutazione?

È una questione molto seria quello che lei dice, perché in molti casi molti derivati – non tutti, ma molti derivati - hanno mercati illiquidi e quindi di fatto non esiste una valutazione affidabile per questi strumenti finanziari e le banche fanno valutazioni che sono basate sui propri modelli. A volte questi modelli, alla resa dei conti, hanno lasciato un po’ a desiderare, quindi è un problema serio. Noi abbiamo fatto una campagna di ispezioni alle banche su questo. Le ispezioni sono lo strumento migliore perché abbiamo i nostri ispettori che vanno proprio dentro la banca, prendono lo strumento individuale, la transazione, lo rivalutano, e cercano di vedere le debolezze che possono esserci nella valutazione, nel processo di valutazione da parte della banca. Quindi un lavoro di vigilanza molto serio e capillare è stato fatto. Ovviamente il rischio rimane e questo è anche uno dei motivi per cui una delle priorità che abbiamo individuato per la vigilanza bancaria europea già dall'anno scorso e stiamo continuando quest'anno è quello che noi chiamiamo il rischio di controparte, il counterparty credit risk. Questo è un aspetto dell'interfaccia tra le banche e alcune istituzioni non bancarie, come hedge funds e altre, che stanno prendendo rischi molto rilevanti su mercati a volti piuttosto rischiosi. Cerchiamo di mettere una forte pressione sulle banche per rafforzare le proprie pratiche di misurazione e di gestione di questo rischio.

Buongiorno, intanto complimenti per il lavoro svolto dalla vigilanza europea, perché se guardiamo cosa è successo in America e in Svizzera in questi mesi, mi sembra che abbiamo fatto bella figura. La mia domanda concerne la concorrenza nel mondo bancario. Quanta concorrenza c'è? Perché adesso, per esempio, guardando i tassi dei conti correnti che al momento in Italia sono 0.291, quasi un anno dopo l'inizio dell'aumento dei tassi da parte della BCE, con il tasso sui depositi al 3.25 e quindi la domanda è: c'è abbastanza concorrenza? Non mi sembra.

La risposta è: ha ragione, non c'è probabilmente abbastanza concorrenza. Uno dei punti è quello che stavo dicendo prima. Il mercato rimane molto segmentato, anche a livello nazionale. Ad esempio, vado a visitare tutte le autorità nazionali e mi è capitato nelle settimane scorse di essere nei paesi baltici dove stanno discutendo - in Lituania mi sembra l'abbiano appena introdotta – di introdurre tasse aggiuntive sulle banche, proprio perché vedono un rimbalzo molto forte della redditività. Lì stanno addirittura proiettando un return-on-equity dell'ordine del 35- 40% quest'anno. Le autorità lì dicono: ma come mai non viene qualche banca, magari da un altro paese, e non apre sportelli? In realtà questo processo non ha funzionato abbastanza bene per una serie di motivi che sarebbe molto lungo discutere. Però secondo me la digitalizzazione cambierà molto questo aspetto. Per dire, anche grandi case si stanno attrezzando, aprendo banche digitali a livello europeo per dare servizi su tutto il mercato. Nel Regno Unito una di queste ha fatto un esercizio pilota, ha offerto tassi sopra al 3% e sta prendendo quote di mercato molto rilevanti. Detto questo, bisogna anche dire che è abbastanza naturale che, quando c'è un ciclo di restrizione monetaria, ci sia all'inizio un ampliamento dei margini. Anche nel momento in cui i tassi di interesse sono andati in negativo, le banche per diversi anni hanno evitato di passare alla clientela i tassi di interesse negativi. Quindi forse è anche un po’ fisiologico che ci sia un periodo iniziale nel quale la trasmissione non è totale. Però ha ragione, ci deve essere un momento nel quale la concorrenza comincia a spingere i tassi verso l'alto e forse questo momento è arrivato.

Anche Apple adesso offre i rendimenti al 3.78. Non ancora in Europa, però solo negli Stati Uniti.

Come vede lei, in un'ottica evolutiva, perché il mondo cambia velocemente e nessuno può stare fermo, il ruolo delle banche che hanno una vocazione prevalentemente territoriale? Siamo in un territorio in cui questo tema è rilevante perché le nostre banche hanno una vocazione, una storia prevalentemente territoriale. Si sono date, attraverso un gruppo bancario, anche degli strumenti per presidiare la stabilità delle singole componenti attraverso un accordo di garanzia. Ma lei come vede il futuro di questa componente del sistema bancario in un territorio che gode di buona salute dal punto di vista economico e anche bancario-finanziario, in questo momento?

Molto velocemente, due cose. La prima è che è chiaro che nel mondo in cui siamo entrati la dimensione comincia a essere un elemento rilevante. Molte delle banche territoriali si sono collegate in reti di cooperative o di casse di risparmio e questo gli ha consentito di ottenere quella scala che probabilmente è necessaria per le sfide di oggi, mantenendo quel radicamento territoriale. Credo che questa sia una soluzione positiva. Però il radicamento territoriale non deve essere considerato, proprio alla luce di quello che dicevo ora, come una protezione permanente contro la concorrenza. Di fatto anche le banche che hanno goduto di un forte rapporto con la clientela nei territori, potrebbero subire, domani, una forte competizione anche da offerte digitali di servizi, e quindi bisogna attrezzarsi, sviluppare un'agenda digitale anche per banche piccole. Questo è secondo me un elemento importante, farlo in rete. Probabilmente consente di superare le difficoltà di scala anche in questo campo.

Presidente, l'altro giorno mi ha detto, sono un po’ deluso perché, quasi arrivato alla fine del mandato, non sono riuscito a firmare una grande operazione transnazionale. Ecco, è diventato tutto molto complicato. Si distrugge valore a fare una fusione. Perché dovrebbero farle? È possibile che non le vedremo ancora per molti anni?

Quello che ho detto l'altro giorno era un po’ una strigliata alle banche perché penso che le banche a volte non abbiano avuto sufficiente coraggio nel prendersi qualche rischio nello sviluppare la loro attività in maniera più integrata a livello europeo e non hanno risposto positivamente a una serie di aperture che noi abbiamo fatto a livello di Bce. Però capisco che l'aspetto principale che ha frenato le integrazioni bancarie finora è stato che le banche hanno avuto delle valutazioni di mercato molto basse, cioè il price-to-book, il livello dei valori di mercato rispetto ai valori di Libro, per le banche europee è stato deprimentemente basso per tanti anni. Questo vuol dire che le banche hanno avuto molto poco incentivo economico, poche possibilità di fare davvero concentrazioni. Ora che finalmente, con la ripresa della redditività, i valori di mercato stanno migliorando, secondo me le possibilità per le banche di maggiore successo, che hanno capacità di crescita più notevoli, di aggregare magari altre banche, aumentano. Finora la prospettiva dell'integrazione - abbiamo avuto esempi di integrazione in Spagna e in Italia, Intesa-Ubi, o Caixa-Bankia – è rimasta molto nazionale. Perché? Perché l'obiettivo era ridurre i costi, era l'efficienza sui costi. In futuro, secondo me, dopo una fase in cui le banche restituiscono valore agli azionisti attraverso buyback, cominceranno a investire sul proprio business, allora secondo me si comincerà a vedere il beneficio della diversificazione del rischio anche a livello territoriale. Mi aspetto che sia ineluttabile avere concentrazioni transfrontaliere. Sarà questione di qualche anno.

Prego la signora qua davanti.... Scusate, io vi avrei dato 25 minuti di domande, non pensavo ci fossero tutte queste domande sulla vigilanza bancaria.

Presidente, lei ha fatto riferimento al tema delle illiquidità dei titoli sul mercato. Le banche sono attentamente vigilate, lo apprezziamo molto, ma non è che invece stiamo sottovalutando che il rischio finanziario invece vada a colpire altre aree? Fondi pensioni, assicurazioni, settore del risparmio?

La risposta breve è sì, in realtà. Se noi facciamo una fotografia dei flussi di finanziamento, anche degli stock di finanziamento, ai tempi della grande crisi, nel 2008-2010 e ora, vediamo che in realtà il livello di debito dei prenditori finali, quindi famiglie, imprese e governi, è aumentato significativamente. Il livello di leva delle banche, si è ridotto. Quindi è chiaro che questo aumento è stato finanziato prevalentemente da soggetti non bancari che non sono esposti a una regolamentazione prudenziale, perché molti di questi hanno una regolamentazione di condotta anche abbastanza penetrante, ma da un punto di vista prudenziale, non c'è una grande copertura. E questo è un tema che la Bce ha posto. A livello di Financial Stability Board si sta considerando probabilmente di avere più presidi, anche di regolamentazione, in questa parte del settore finanziario, e secondo me sarebbe opportuno.

Vorrei che spendesse qualche parola sul corporate management, in particolare sull'aspetto cyber o criptovalute, grazie.

Il cyber risk, il rischio informatico, le banche lo identificano probabilmente come il rischio più rilevante che hanno e anche noi l'abbiamo messo tra le nostre priorità sia l'anno scorso che quest'anno. È un tema difficile, complicato. Diciamo che faremo per la prima volta un cyber risk stress test l’anno prossimo e sarà focalizzato prevalentemente sulla capacità di recupero delle banche. Gli attacchi ci saranno. Ci saranno momenti di vulnerabilità, l'importante è quanto velocemente le banche sono in grado di ripristinare le loro funzioni fondamentali. Questo sarà il nostro focus. Sulle crypto valute, mi spiace ma sarebbe troppo lungo parlarne. Questa domanda la passo.

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