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Intervista a Il Sole 24 Ore

Intervista con Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di Vigilanza della Banca Centrale Europea, pubblicata il 15 Luglio 2016, realizzata da Alessandro Merli

Il voto su Brexit ha avuto un impatto fortemente negativo sui titoli bancari, con possibili ripercussioni sulla stabilità finanziaria nell’area euro. Quale è la sua valutazione della situazione?

Non c’è dubbio che il referendum britannico rappresenti uno shock notevole per l’economia europea, di cui stiamo cominciando a vedere l’impatto, ma che si svilupperà ulteriormente nei prossimi mesi. Un elemento importante in questo caso è l’effetto incertezza: non sappiamo come si svilupperanno in futuro le relazioni fra il Regno Unito e l’Europa e ai mercati finanziari non piace l’incertezza. Questo aiuta a comprendere perché i titoli bancari siano stati colpiti più fortemente: una componente molto importante di questa incertezza riguarda il modo in cui il Regno Unito, che ospita il più importante centro finanziario in Europa, si posizionerà in relazione al mercato unico europeo per i servizi bancari e finanziari. Tra l’altro, nelle prime due settimane dopo il voto, l’impatto sulle azioni delle banche dell’area euro appare più forte di quello sulle banche inglesi, ma non sono così diversi se si tiene conto dei movimenti del cambio. In entrambi i casi la caduta dell’indice bancario è più grande di quella dell’indice generale.

Le azioni delle banche italiane sono state colpite più seriamente e molti considerano le banche italiane l’anello debole dell’eurozona. La vigilanza europea ha compiuto diverse valutazioni della loro salute nell’ultimo anno e mezzo. Qual è il loro stato oggi?

Seguiamo da vicino la situazione di tutte le banche sotto la nostra responsabilità di vigilanza. Non c’è un problema specifico per l’Italia o un problema Paese. Alcune banche in Italia sono gravate da un alto livello di crediti deteriorati (Npl). I mercati sono sensibili a questo e ciò emerge nella più alta volatilità delle azioni bancarie italiane. Il problema degli Npl può essere gestito, ma non dev’essere sottovalutato. Oltre agli Npl, ci concentriamo anche su diversi altri aspetti nell’annuale esercizio dello Srep, il processo di revisione e valutazione prudenziale, che una volta concluso determinerà i requisiti prudenziali per l’anno prossimo. Su tutti questi temi, lavoriamo in stretta collaborazione con le autorità italiane, anzitutto con la Banca d’Italia nel suo ruolo di supervisore nazionale e membro dell’Ssm. La collaborazione è molto buona.

Si parla del possibile uso di fondi pubblici in Italia per ricapitalizzare alcune banche. Pensa che sia una soluzione appropriata? Ritiene che l’imminente pubblicazione dei risultati degli stress test sia il momento giusto per annunciarla, seguendo le regole europee?

Non voglio speculare su notizie di stampa. Il Governo italiano ha annunciato che sono in corso contatti con la Commissione europea su misure indirizzate a sostenere alcune banche, che hanno sofferto di recente anche a causa delle turbolenze provocate da Brexit. La Commissione ha la responsabilità di valutare e autorizzare misure che possono essere rilevanti dal punto di vista della concorrenza e degli aiuti di Stato. Come ho dichiarato pubblicamente di recente, penso che forme di sostegno pubblico, usate in circostanze eccezionali e in modo controllato, siano parte di un quadro bancario ben disegnato. La legislazione bancaria della Ue (composta da Crr/Crd, più Brrd e le regole sugli aiuti di Stato emesse dalla Commissione nel 2013) contiene norme esplicite a questo proposito. Si tratta di applicare le regole esistenti.

Le regole sul bail-in andrebbero riviste o sospese?

La condivisione dei rischi da parte di certe classi di creditori è una buona componente del sistema, come lo sono le salvaguardie che abbiamo appena discusso. Produce i giusti incentivi e fa parte delle regole approvate da tutti. Il presupposto è che ci sia un’adeguata informazione sugli strumenti finanziari da parte degli investitori che li comprano.

Che soluzione si aspetta per il caso di Mps, una delle quattro banche italiane che non hanno passato la vostra “valutazione approfondita” nel 2014? Oggi è capitalizzata oltre le soglie prudenziali ed è tornata in utile, ma viene tuttora considerata sull’orlo del collasso. Cosa si deve fare?

Non voglio commentare la situazione di singole banche. Come ho appena detto, nel contesto del nostro Srep annuale e nel lavoro di vigilanza condotto dai team di supervisione, guardiamo a tutti i fattori di rischio rilevanti. Lo facciamo per tutte le banche, compresa naturalmente Mps. Le nostre analisi e conclusioni sono comunicate alle banche.

Sulla questione della comunicazione e trasparenza, dopo la massiccia pubblicazione di dati seguita alla valutazione approfondita, la Bce è rimasta per lo più in silenzio e spesso i mercati devono confrontarsi con informazioni proveniente da altre fonti, non confermate dalla Bce. Non ritiene che l’Ssm dovrebbe fornire più chiarezza, per evitare confusione nei mercati, con comunicazioni più tempiste e maggior trasparenza?

La trasparenza è un tema importante. Ma la Bce, come supervisore bancario, tratta generalmente informazioni confidenziali. Le banche forniscono alla vigilanza informazioni qualitative e quantitative sui loro bilanci e altri aspetti della loro attività. Queste informazioni, di regola, non possono esser divulgate. Ci sono regole europee sul segreto professionale dei supervisori. Scambi di informazioni fra supervisori e altre autorità possono avvenire; questo si applica per esempio nel contesto degli stress test, in cui collaboriamo strettamente con l’Autorità bancaria europea. Gli stress test di quest’anno sono nella fase conclusiva e i risultati saranno pubblicati a fine mese. Inoltre, ci sono regole europee di pubblicazione che riguardano gli emittenti di strumenti finanziari, comprese le banche. Secondo queste regole, informazioni sensibili per i mercati devono essere comunicate il più presto possibile dalle banche stesse al pubblico. Il rispetto di queste regole è assicurato dalle autorità nazionali di controllo sui mercati. Questa è la ragione per cui queste autorità (in Italia la Consob) possono in alcuni casi richiedere alle banche di pubblicare informazioni derivanti dal processo di vigilanza, per esempio riguardanti lo Srep. In quest’area, sarebbe utile promuovere un maggior coordinamento tra le autorità nazionali di mercato all’interno dell’unione bancaria, per assicurare che le banche dei diversi Paesi seguano le stesse pratiche di divulgazione. Le asimmetrie di informazione danneggiano il buon funzionamento del mercato. Infine, c’è un ulteriore aspetto che riguarda la trasparenza delle metodologie e delle prassi di vigilanza. Per esempio, l’Ssm ha pubblicato una sintesi del suo manuale di vigilanza e più recentemente una “guida” allo Srep. Ulteriori informazioni sull’attività dell’Ssm sono contenute nel nostro rapporto annuale, in interventi e discorsi della presidente, la vicepresidente e altri membri del consiglio di vigilanza.

La vigilanza bancaria è stata unificata sotto l’Ssm, ma l’autorità sulle banche risiede anche altrove in particolare la Direzione generale sulla concorrenza alla Commissione. Le loro posizioni appaiono a volte non coordinate con quelle dell’Ssm e questo crea confusione nei mercati. Non c’è dialogo fra i due organismi?

Diverse istituzioni hanno diverse responsabilità e dovrebbero collaborare quando queste responsabilità interagiscono o quando si possono sfruttare delle sinergie. In particolare, l’Ssm è responsabile della vigilanza prudenziale, il che significa assicurare, all’interno dell’attuale quadro di regole, che le banche sianosicure e che il sistema bancario sia stabile. L’Srm si concentra sulla risoluzione, sia ex-ante (assicurando che le banche abbiano una sufficiente capacità di assorbimento delle perdite) sia ex-post (intervenendo nei casi concreti di risoluzione). Il settore concorrenza della Commissione ha la responsabilità difar rispettare le regole sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato. Ci sono casi in cui la collaborazione e il coordinamento possono essere molto utili. L’Ssm e l’Srm hanno firmato di recente un memorandum d’intesa che regola la collaborazione e lo scambio di informazioni fra le due istituzioni.

I mercati sono in attesa anche dei risultati del vostro studio sugli Npl, che è un tema cruciale per le banche italiane. Il modo in cui fu comunicato il suo avvio creò molta incertezza e turbolenze. Cosa ci si deve aspettare?

Le reazioni provocate da questa iniziativa all’inizio dell’anno sono state esagerate. Il monitoraggio degli Npl, soprattutto quando sono eccessivi, fa parte dei normali compitidi vigilanza. Essi consistono, in questo caso, nel raccogliere le informazioni necessarie e individuare le migliori pratiche e, se necessario, fissare linee guida. Data l’importanza di questo tema per un certo numero di banche sulle quali vigiliamo, abbiamo creato un gruppo di lavoro dedicato, che comprende staff della Bce e delle autorità nazionali. I principali risultati saranno pubblicati presto. Sappiamo bene che riassorbire gli Npl, specialmente quando il livello è alto, non può esser fatto rapidamente e che c’è un trade-off fra la rapidità del processo e il valore che può essere estratto. Il nostro obiettivo è di aiutare le banche a usare tutti i margini di manovra che hanno per risolvere il problema il più presto possibile.

Le cifre che circolano sui mercati sugli Npl italiani e quelli forniti dalla Banca d’Italia differiscono ampiamente. Quale è la posizione dell’Ssm?

Di nuovo, non voglio speculare su notizie di stampa. Sugli Npl, come su tutti gli altri aspetti, usiamo nel nostro lavoro le stesse cifre e condividiamo le stesse informazioni che sono anche a disposizione della vigilanza nazionale. Anche per questa ragione abbiamo creato gruppi di vigilanza congiunti, dove supervisori della Bce e delle autorità nazionali lavorano insieme. E’ essenziale che le decisioni di vigilanza siano basate su informazioni solide e condivise.

C’è la percezione in Italia che si sia un’attenzione eccessiva sugli Npl, e non abbastanza su altri temi, come i derivati, che coinvolgono altri sistemi bancari e hanno un maggior potenziale destabilizzante. Un recente rapporto del Fondo monetario, per esempio, sottolinea che Deutsche Bank “dà il più importante contributo netto ai rischi sistemici”.

Non penso che quella percezione sia fondata. La nostra attività di vigilanza è completa e copre tutti gli aspetti dei rischi bancari, compresi i rischi di credito, di mercato, operativi, rischi su capitale e liquidità, e così via. Tutti questi aspetti sono considerati e valutati al meglio delle nostre possibilità, nello Srep e più specificamente negli stress test, come nei contatti regolari fra i team di vigilanza e le banche. Le cito due aspetti rilevanti per il rischio di mercato. Primo, abbiamo lanciato un’ampia revisione dei modelli interni di gestione del rischio. Questi modelli sono usati dalle principali banche per misurare i rischi in varie aree, e calcolare la ponderazione del rischio, inclusi i rischi di mercato e operativi. Diversi approcci nella costruzione di modelli possono dare luogo a diversi requisiti prudenziali e se i modelli non sono appropriati ne può derivare una sottovalutazione dei requisiti. Le banche che assumono larghe esposizioni di mercato sono spesso caratterizzate da ponderazioni medie più basse sulla loro esposizione a questi rischi. Ecco perché è importante vigilare su questi modelli. Questo compito però richiede tempo, dato l’alto numero di banche su cui vigiliamo e i modelli multipli che usano. Vorrei dire anche che parlare di derivati in genere non è corretto: ci sono posizioni in derivati che aiutano a coprire il rischio e altre che lo aumentano. In secondo luogo, stiamo facendo attenzione crescente alla leva finanziaria delle banche (leverage), come complemento delle esposizioni ponderate. Le misure del leverage non sono ponderate per il rischio e quindi non sono soggette alla potenziale distorsione di cui ho parlato. In Europa, il leverage diventerà un requisito formale dopo il 2018, ma le banche devono già pubblicare oggi il proprio leverage. La pubblicazione è importante perché alimenta la disciplina di mercato; le banche sono riluttanti a mantenere un leverage alto se devono pubblicarlo, anche se non vi è ancora un divieto. Da parte nostra, teniamo sotto osservazione la leva finanziaria e assicuriamo che le banche la calcolino correttamente.

In Italia, la creazione del fondo Atlante ha risolto i problemi della ricapitalizzazione di due banche, ma non ha le risorse necessarie per ripulire l’intero sistema. Quale è la sua valutazione del ruolo di Atlante finora e ritiene che debbano essergli date più risorse o debba essere creato un Atlante 2?

Ne ho parlato in dettaglio inuna recente audizione al Senato. Atlante è stata una buona iniziativa e ha già contribuito alla stabilità intervenendo nella capitalizzazione di due banche. Così facendo, ha utilizzato la maggior parte delle sue risorse. Le sue dimensioni attuali non sono sufficienti ad affrontare tutti i casi in cui un intervento sugli Npl o un sostegno al capitale puòrendersi necessario. Una ricostituzione delle sue risorse, specialmente da investitori privati che non siano banche italiane, sarebbe un bene. Penso anche che la presenza di investitori internazionali sarebbe un bon segnale.

Può spiegare come funzionerà il prossimo Srep e in che modo sarà diverso dai precedenti?

Nello Srep del 2016 stiamo introducendo alcune innovazioni per rendere il processo e i relativi requisiti più flessibili ed efficaci. In particolare, le indicazioni del secondo pilastro (Pillar 2) che le banche ricevono da noi saranno divise in due parti, un “requisito” e una “guida”. Le banche dovranno rispettare il primo in ogni momento. In generale, ci si attende che rispettino anche la seconda; questa però non costituirà un vincolo per la distribuzione di dividendi, bonus e remunerazione delle obbligazioni subordinate At1 (l’Ammontare massimo distribuibile, o Mda)). Di conseguenza, i livelli di capitale che fanno scattare l’Mda saranno più bassi nello Srep del 2016 rispetto all’anno precedente, a parità di altre condizioni. Il mancato soddisfacimentodella “guida” non porterà automaticamente ad azioni di vigilanza. Può tuttavia portare a un monitoraggio più intenso e misure specifiche basate sulla situazione della singola banca. L’impatto quantitativo dello scenario avverso degli stress test, insieme agli altri elementi dell’analisi Srep, sarà un componente che aiuterà a determinare il livello della parte “guida” del secondo pilastro. Pertanto, i risultati dello stress test avverso non alzeranno il punto che fa scattare l’Mda. Come la presidente dell’Ssm, Danièle Nouy, ha osservato questa settimana, ci aspettiamo che la misura complessiva del Pillar 2 (compresi entrambi gli elementi) resti nel complesso stabile, per livelli di rischio dati, in confronto allo scorso anno. Ci potranno naturalmente essere aggiustamenti verso l’alto o verso il basso in casi specifici, a seconda della situazione delle singole banche.

Gli stress test sono condotti dall’Eba. Come cambierà la situazione con l’uscita del Regno Unito? L’esistenza dell’Eba si giustificherà ancora?

Anzi tutto, vorrei dire che nel corso degli anni l’Eba ha giocato un ruolo chiave nell’aiutare a creare una convergenza delle pratiche di vigilanza e nella regolamentazione secondaria nell’Ue. Negli ultimi due anni, l’Eba è stata anche un partner importante per l’Ssm; abbiamo lavorato insieme su molte cose, compreso, di recente, il progetto che l’Ssm ha realizzato per armonizzare le opzioni e le discrezionalità nella legislazione bancaria. E’ importante che l’Eba continui a esercitare questa funzione. Dall’inizio dell’Ssm, la cooperazione fra Bce e Eba è stata intensa e fruttuosa. Inoltre, l’Eba è stato un importante foro di dialogo e coordinamento fra i Paesi Ue che appartengono all’unione bancaria (19 al momento) e quelli che non vi appartengono (9, compreso il Regno Unito). Dopo Brexit, ci saranno ancora otto membri dell’Eba che non fanno parte dell’unione bancaria; perciò questa funzione rimarrà importante. Detto questo, si dovranno introdurre cambiamenti nelle regole e nell’organizzazione dell’Eba dopo l’uscita del Regno Unito. La sede dell’organizzazione dovrà cambiare. Tutto questo farà parte delle discussione e del negoziato che avranno luogo nei prossimi mesi.

L’Ssm opera ora una vigilanza unica in un’unione bancaria che è lungi dall’essere completa. Il fondo di risoluzione richiederà anni prima di essere attivo e l’assicurazione comune dei depositi (Edis) è stata rinviata sine die. Questo complica il vostro compito?

Il completamento dell’unione bancaria è un tema molto importante. La Bce crede fermamente che uno schema unico di assicurazione dei depositi sia un pilastro necessario di un’unione bancaria ben funzionante. A nostro avviso, la proposta della Commissione, che prevede la creazione graduale di uno schema in tre fasi da concludersi nel 2024, è solida, perché combina opportunamente la chiarezza dell’obiettivo e il gradualismo. Più in generale, la creazione di una rete di sicurezza bancaria per l’intera area euro con l’uso di risorse messe in comune è il logico complemento di aver portato la responsabilità di vigilanza e la risoluzione allo stesso livello. Questo processo dovrebbe procedere in parallelo con la riduzione dei rischi nel sistema, un processo al quale la vigilanza bancaria della Bce sta contribuendo attivamente. Un credibile sistema di garanzia dei depositi sosterrà la fiducia, contribuirà a stabilizzare il sistema e a renderlo più omogeneo e integrato.

Uno degli ostacoli è il trattamento del debito sovrano nei portafogli delle banche. Ritiene che debba essere risolto prima della creazione dell’Edis, anche se questo richiederà anni?

È in atto un’ampia discussione sui tempi e le priorità nel realizzare la riduzione di livelli di rischio e la loro mutualizzazione all’interno dell’unione bancaria. In questa discussione è stato anche chiamato in causa il trattamento prudenziale dei debiti sovrani. Nella normativa attuale, l’esposizione sovrana è trattata come priva di rischio; è cioè esente sia dalla ponderazione del rischio sia dai limiti all’esposizione. L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che, di fatto, l’esposizione al debito sovrano non è priva di rischio. La Bce riconosce che ci sono buone ragioni per considerare una modifica del trattamento prudenziale dell’esposizione al debito sovrano. Ogni cambiamento delle regole, però, dovrebbe tenere a mente i rischi finanziari nella transizione e tener conto che gli strumenti di debito sovrano giocano un ruolo centrale nel sistema finanziario e nella politica monetaria. Bisognerà evitare limiti rigidi. Si potranno considerare, invece, approcci flessibili come l’applicazione di una ponderazione crescente per il rischio alle esposizioni concentrate su singoli sovrani, oltre certe soglie. L’obiettivo non è di determinare un calo dell’ammontare totale dei titoli sovrani detenuti dalle banche, ma una maggior diversificazione di portafoglio. In ogni caso, si dovrebbe prevedere un periodo di introduzione sufficientemente lungo in modo da evitare effetti improvvisi ed essere in grado di compiere aggiustamenti sulla base dell’esperienza. Il Comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria sta conducendo una riflessione su questo tema, che può portare alla creazione di uno standard internazionale. Ogni cambiamento in Europa dovrebbe, a nostro avviso, avvenire all’interno di quel quadro.

Com’è cambiata la situazione delle banche greche dopo la reintroduzione del “waiver” che consente di presentare i titoli del debito greco come collaterale alle normali operazioni di rifinanziamento della Bce?

Dopo la reintroduzione dell’esenzione (waiver) il 29 giugno scorso, le banche greche sono state in grado di spostare una parte dei loro finanziamenti dal credito di ultima istanza (Ela), ai normali rifinanziamenti della Bce. Questo è avvenuto perché i titoli pubblici greci sono tornati a essere garanzie collaterali utilizzabili per le operazioni di politica monetaria. Un costo più basso del rifinanziamento, determinato da questo spostamento, ha un effetto positivo sulle banche. Inoltre, la reintroduzione del waiver avrà un effetto positivo sulla fiducia sia dei depositanti sia degli investitori, da cui le banche greche trarranno beneficio.

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